Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

raccontiitaliani dre gli aveva insegnato per i vecchi. I vecchi, diceva la madre, sono coloro che sanno. Ma la distesa calma e serena del lago al levare delle tenebre era piena di insidie. A quell'ora uscivano dagli anfratti della costa, da unariva e dall'altra, ombre nere che scivolavano veloci come fanno certi insetti pattinando sul .pelo degli stagni, verso la preda. Ogni uomo nella penombra andava a cercare la sua rete, guidandosi col suono di una campanella lontana che, galleggiando legata alla rete, vibrava al soffio della brezza. Spesso la corrente della notte aveva portato lontano dal punto di posa una rete, sino anche ad ingarbugliarsi con quella di un altro pescatore. E allora erano facili le contestazioni e le liti: il primo che arrivava per districare la sua poteva fare larghi strappi in quella dell'altro, o anche rubarla o almeno prendersi il pesce che vi era impigliato. Claudio, là solo, o socio di un vecchio, su una piccola barca traballante, con l'abisso tutt'attorno, non poteva affrontare l'ipotesi di una tenzone che sarebbe cominciata a parole per continuare a colpi di remo, per finire poi in modi terribili che egli orridamente immaginava col fervore della sua fantasia. Oreste avvertiva che la saggezza e la prudenza non bastavano a proteggerlo dai soprusi. Certo avrebbe potuto farsi degli amici, ma per questo doveva andar piano cercando di mettere insieme l'amicizia con l'interesse, perché fosse più sicura. Sentì la debolezza del suo carattere, cosa di cui segretamente dovette poi sempre soffrire moltissimo, e la fragilità del suo corpo. Egli che era robusto più di molti ed era stato qualche volta fiero della sua forza quando aveva dovuto sollevare un peso o tirare in secco una barca, ora sentiva la sua carne molle, già flaccida, misera, non tesa da nervi sicuri. Ebbe così, un giorno quando con un pretesto gli portarono via una rete sotto gli occhi, la tremenda rivelazione di quello che vuol dire non avere coraggio. Fu forse per questo sgomento che il suo corpo cominciò a formarsi secondo l'im- ~ magine che egli stesso si era fatto di sè. Allora, con la sua straordinaria disponibilità ad adattarsi alle situazioni, cercò nella fantasia, era sempre questa una compagna costante della sua vita, l'aiuto che il coraggio non poteva dargli. Cominciò a raccontarsi delle favole, si trattava quasi sempre di piccole gesta che non erano state compiute, ma che avrebbero potuto esserlo e che mostravano sempre il valore possibile del suo eroe. E così viveva spesso in uno stato intermedio tra fantasia e realtà, il che si accordava bene con un aspetto infantile del suo carattere. La sua immaginazione gli aveva creato un piccolo mondo protetto in cui viveva come un palombaro che opera con le sue mani industriose dentro una campana di vetro, difeso dall'acqua e dagli squali. Nel frattempo il suo spirito pratico lo portava ad imparare le molli arti dell'ipocrisia e a farsi degli amici utili dove era possibile, per raggiungere la meta che già gli aveva fissato la madre, diventare un uomo di successo, gestore o padrone di un ristorante. Livio Garzanti - 135

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