raccontiitaliani per una colomba bianca, domestica fra le ombre di un chiostro abbandonato. Per me la storia oggi genera Oreste, che con saggezza e qualche virtù ha raggiunto, ancor giovane, un sogno delle sua vita: è padrone e gestore di un ristorante, in bella vista, moderno e lucido, al centro di un paese, forse il più bello, su quella riva del lago. È di piccola statura, un po' goffo e gonfio nelle stagioni di punta per i vapori che si levano dalle pentole della sua cucina. Il volto non dice nulla, solo gli occhi porcini esprimono un desiderio di furbizia lievemente infantile. Ora è l'erede inerme e pacifico degli osti di un tempo, che erano atnici degli sbirri e pronti alla rissa. Ma non è privo di una certa fantasia e ha scoperto da qualche tempo una nuova e strana passione. Faccio della sua vita un breve e parziale racconto. Comincio con la morte del padre. Non era piccola cosa, sino alla metà del nostro secolo, in un paese remoto essere il custode di una grande villa, la sola allora su quella costa, proprietà di una fatniglia straniera, anzi, negli ultimi anni, di due coniugi restati soli a finire la loro vita, sei mesi all'anno, fra i sorrisi e le ombre del lago. Suo padre, il custode, uomo servizievole e devoto, era scomparso senza lasciare traccia di sè, subito dopo la morte dei padroni e proprio in tempo per trasmettere l'eredità che gli avevano lasciato in premio di un lungo servizio. Seduto a poppa di una barca, di quelle dette manzonianamente "Lucia", che sono caratteristiche dei laghi lombardi; a forma di mandorla, col fondo piatto e con tre centine ad arco per reggere un tendone, nei giorni di pioggia, quando non tira vento, era scivolato per un malore, si disse, senza fare rumore, .con un piccolo tonfo appena avvertito da chi, remando in piedi, gli volgeva le spalle. La madre di Oreste era di quelle svelte, intelligenti, comuni nei nostri paesi sino a trent'anni fa, che sembrava si sposassero per avere figli, lei ne aveva avuto uno solo, e per restare vedova ancora in buona età, felici di far da sole, astiose contro l'amore e il sesso. Magra, ossuta, aveva subito nascosto alla morte del marito ogni possibile forma di donna sotto un grembiule nero da cui spuntavano le maniche di una pesante maglia nera, nere di grossa lana le calze; vecchia già a poco più di quarant'anni, correva coi suoi passettini corti nei vicoli e sui sentieri attorno al villaggio a portare i suoi uffici nella casa del parroco e ovunque la si chiedesse e a combinare affari onesti, ma segreti per impiegare al meglio l'eredità appena ricevuta. Poteva sperare bene per il futuro, ma i denari pensava che si dovessero tenere nascosti per educare il figlio alla modestia della povertà, alla paura, all'antica saggezza che insegnava a tenersi lontani, sempre, dai pericoli. Questa donna fedele all'antico sapeva però vivere il proprio tempo almeno in un modo: amava i motori. Le sue mani nocchiute erano agilissime nello stringere un morsetto, nello svitare un dado, nel girare una vite sottile, si entusiasmava nel seguire il percorso di un fùo elettrico, capiva con rapidità Livio Garzanti - 133
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