Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

discussione tabili se non per consumare pasti completi, se ci si incontra fuori non si sa dove andare a sedersi, si deve affrontare un traffico mostruoso, per vedere un amico bisogna avere a disposizione almeno mezza giornata. Restano le grandi ville, i grandi parchi pubblici: ma bisogna aspettare la buona stagione, contare sulla clemenza e dolcezza del clima. Forse sono anche questi i motivi per cui ad un certo punto si sono dovuti inventare i festivai poetici. Ci sono poi alcuni luoghi comuni, deformanti ma non del tutto infondati: gli scrittori e i letterati romani sono "pigri e inefficienti", non sono mai svegli prima delle dieci, passano ore al telefono, ignorano musei e concerti, spesso non hanno una buona posizione professionale (ma Moravia scrive tutti i giorni dalle otto alle tredici, è il nostro massimo esempio di scrittore professionale, ed è in ogni senso mobilissimo ... ). I più giovani (categoria che arriva fino a oltre i trent'anni) sono sotto-occupati, senza prospettiva di carriera, pubblicano con difficoltà ma non riescono neppure a spiegarsi perché questo avviene (la misteriosa editoria milanese ... !). Roma è anche una città contagiosa. Arbasino, specializzato in prediche sull'efficienza, sui vantaggi e i valori dell'illuminismo lombardo in realtà è molto romanizzato: straparla, non rispetta i tempi, va sempre fuori tema, spreca parole. Il suo stile è diventato col tempo il massimo esempio di quella che altrove si chiama "sbracatezza romana" e polverone culturale ... Un altro guaio di Roma è che poi alimenta periodicamente tutto un curioso repertorio di miti su quello che deve essere lo sviluppo, la modernizzazione, l'efficienza, la scientificità, la classe operaia avanzata: tutte çose lontane, esotiche, desiderabili, crudeli e belle, mai viste... Quanto al Centro e alla Periferia, viene subito voglia di dire che non esistono più: anche perché si è fatta indigestione di filosofie che teorizzavano la periferia come vero centro e l'esilio o l'assenza come ingrediente e aroma della continua presenza. Ma poi non è così. Il vantaggio delle città molto grandi non è il fatto che siano "centro", ma che in esse ci si può nascondere meglio, si può sfuggire meglio all'ossessione (appunto "periferica" e "provinciale") di dover sempre raggiungere un mitico e fantomatico centro collocato altrove. In realtà, ormai, per tutto l'occidente, e forse ancora di più per l'oriente, il solo e unico centro sono gli Stati Uniti: New York, Chicago, la California. Tutto il resto del mondo è periferia. Sarebbe augurabile un'interruzione, almeno culturale, di questo rapporto coatto fra centro e periferia. Abitare e vivere in uno dei tanti "centri periferici" del mondo mi sembra la cosa migliore. E possibilmente spostarsi da un centro all'altro, da una periferia più vicina a una più lontana, ecc. Comunque, è innegabile ·che, a parità di meriti e di difetti, è più probabile che un giovane autore trovi editori e riconoscimenti a MilaCorde/li-Berardine/li - 123

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