discussione gno e figura del destino della Letteratura e degli Scrittori, Cordelli prese alla lettera il paradosso sociologico del libro (''solo chi scrive poesie, legge poesie'') compiendo una serie di esperimenti estetici di massa in cui questo poco visibile Pubblico della poesia si rendesse irrimediabilmente visibile. I suoi festival volevano dimostrare che non era più possibile rimuovere i dati dr una crisi di fondo del Sistema Letteratura, e che la logica dell'avanguardia (la poesia come ''azione'' simbolica, come gesto), portata oltre certi limiti salvaguardati dal Gruppo 63, diventava scandalosa e irriconoscibile per gli stessi avanguardisti. Mentre i partecipanti, i poeti, coglievano soprattutto l'aspetto promozionale di quelle iniziative: e questo è comprensibile. Quanto al successo, non so se la mia generazione in quanto tale, cioè nel suo insieme, ne abbia avuto. Probabilmente no, ma io sarei curioso di sentire l'opinione di tutti gli interessati, uno per uno. Questo credo che resti comunque un punto dolente per quasi tutti gli autori italiani: il nostro pubblico non è particolarmente vorace, gli scrittori italiani non sono molto tradotti, e la nostra cultura produce in tutti i campi (dalla sociologia al giallo, dalla critica letteraria alla divulgazione scientifica) pochi professionisti del best seller. È strano, però: la mia sensazione personale è quella di "avere avuto fortuna", anche quando non ho avuto successo. In fondo, preferisco essere odiato ma capito, piuttosto che amato ma frainteso. Il che, però, accade sempre più di rado. 2) Questa domanda presuppone un'idea del rapporto fra "mezzi" (cioè, soldi) e letteratura che non riesco a capire molto. Non c'è dubbio che l'Italia sia un paese sviluppato "semipovero", o un paese semipovero che si crede ricco, o un paese più ricco di quello che sembra, o un paese semisviluppato che vive al di sopra dei propri mezzi. È certamente un paese (del resto, però, come il novanta per cento dei paesi del mondo) in cui scrivere letteratura, cioè racconti, romanzi, poesie e saggi non è una vera professione per il semplice fatto che non ci sono le condizioni aziendali e di pubblico per vivere di quello che si scrive. Quella italiana è un'industria culturale "dimezzata" e zoppa, che non starebbe in piedi senza le sovvenzioni indirette che lo Stato le fornisce attraverso gli stipendi della Pubblica Istruzione e i fondi del CNR: così l'industria culturale privata può permettersi di pagare solo la metà di quello che i suoi addetti dovrebbero avere se mancassero altre fonti (statali, quasi sempre), di reddito. Sono pochi, d'altra parte, i paesi in cui le cose stanno davvero diversamente: forse solo gli Stati Uniti e la Germania Federale (e l'Olanda, e magari la Scandinavia). Ma né la Francia né il Regno Unito né il Giapp9ne offrono situazioni da bengodi per gli scrittori e per i poeti, soprattutto per quelli che sono all'inizio della carriera. Sul fenomeno di Castelporziano non sono in grado di dire molto. Cordelli-Berardinelli - 121
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