discussione dopoguerra. Qualche nome: Abruzzese, Agamben, Artioli, Berardinelli, Calasso, Cacciari, Nicolini, Perniola, Rella, Sertoli, Vattimo, Zecchi. Vengo al punto dolente, al romanzo. Il problema è: non perché non ci sono romanzieri quarantenni importanti, ma perché il romanzo sia uno strumento espressivo così obsoleto. In questo secolo è stato sempre il romanzo a "dirigere l'orchestra" e l'impressione del fallimento generazionale credo si confonda con !'almeno apparente senescenza d'una facoltà espressiva. Perché la questione romanzo sia a questo punto, tuttavia, è un altro problema, un problema a sé. 2) Tra i festival dei poeti e il mio "romanzo", nel senso indicato dalla domanda, non c'è nessun rapporto di causa ed effetto. È un puro caso che mi sia capitato di vivere un'esperienza (per me importante sul piano esistenziale prima che culturale) poi classificata tra quelle della nuova spettacolarità, della metamorfosi di sensibilità, della barbarie tecnologica ecc. Mi viene in mente Si sentono leMuse di Truman Capote. È il resoconto, indiscreto, dunque romanzesco, della tournée di Porgy and Bess in Unione Sovietica. Ecco, credo che le parentele, i rapporti di causa ed effetto, tra Proprietàperduta e un qualunque referente vadano cercati, semmai, in direzioni del genere. Per quanto riguarda la presenza in scena di un "io" chiamato Cordelli, e le accuse che infallibilmente mi vengono rivolte, di narcisismo o, all'opposto, di sopravvalutazione dell'oggetto da cui l'io in questione subisce l'urto fino a sentirsene invaso al di là d'ogni teoria, credo che solo la più grande ingenuità critica può prendere alla lettera, realisticamente, le dichiarazioni dell'autore nel corso del testo. È più o meno quello che capitò ai suoi critici e a Saba, che parlava sempre di Saba, in prima o in terza persona, prima e dopo Storiae cronistoriadel Canzoniere. Mi rendo conto che questa non è una risposta alla seconda domanda. Ma mi chiedo se per me è un problema che ci siano o meno dei festival di qualunque genere; e, addirittura, se sia un problema la quantità di mezzi e simili. 3) Non ho smesso di scrivere poesia per la semplice ragione che non ne ho mai scritta. Fuoco celeste non è che un documento della mia preistoria di scrittore. In effetti, precede anche il mio romanzo, Procida; ed è il risultato (sperimentale - solo per me) di un modo giovanile di scrivere in prosa. Negli anni sessanta, tra i diciotto e i ventisei anni, scrivevo una prosa lirica, sotto la duplice influenza di una cultura avanguardistica e di letture allora proibite (ricordo i rimproveri che Pagliarani mosse ai "miei" Holderlin e Rilke - autori così infantilmente e puntigliosamente citati in quel piccolo libro di chiusura). Ad un certo punto pon riuscii ad andare più avanti. Scrissi Fuococeleste come fosse un epigrafe e poi decisi di ricominciare da capo - dall'abbiccì, dalla scuola, dal diario ... Per quanto riguarda Roma. Recentemente, una siCordelli-Berardinelli - 119
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