discussione matica come questa di Storia: « Ti piacerebbe un giretto d'oblio? /Non dirmi cosa avresti risposto tu/ Perché a rispondere c'ero io / Alles Gute, mi vesto e sono giù», dove la consueta opposizione fra tondo e corsivo rispecchia lo scambio fra i ruoli, fluttuanti, che competono ai personaggi. La ricerca e la fissazione di formule esponenziali trova la sua controparte nell'intermittente confessione di chi opera sull'orlo di un'oggettiva afasia: «Se non avesse inteso la sua parola / Coprire di vano suono uno spazio vuoto» (Varianti); «Nulla v'è al mondo che più dell'amore I Si perde e senza segno fu la scrittura» (Intermezzo); «Stammi vicino in tutti i sensi amore mio I Mio esistere non veduto I Chi parla al Vuoto parla a Dio / A un telefono muto» (Radianze). E nella denuncia, fra para-amletica e ironica, di un taccuino mentale sempre disposto ad accogliere l'appunto provvisorio, che aspira invano alla compiutezza del racconto: «Però ci sono dei vuoti 10 / Ed egli indaga ancora» e «Ma forse lo penso adesso/ Chissà cos'avevo in testa» Altri particolari); «Bisogno di precisione» (Altra tecnicalità); «Trascrivo spiegazioni / Da uno che di cani / S'intende appena quanto me / Di cristiani» (Spiegazioni); «Ma non sono sicuro che proprio così si scrivesse» (Sòjli); «Se il ricordo non sbaglia mira» (Riconoscimento). È un ventaglio ampio, che non esclude lo scandalo di una manieristica inversione: «Trovarsi a tu per tu col nuovo / Bloc notes - da quale incominciando parola?» (Taccuino); la parodia di un illustre luogo comune: « Il racconto non fa una grinza / Musa che stringi il vate / Nella tua pinza» (Notti e giorni); la confessata e frustrata nostalgia per un ideale di oggettività: «Soltanto la cosa può dire / Come la cosa s'era svolta / Parlare farsi capire / Con la parola che gli è tolta» (La cosa). La prima impressione a caldo, insomma, è che una corretta lettura di questa raccolta non possa prescindere da un uti114 - MaurizioPerugi le riferimento alle già dette traduzioni di due anni prima: dove non certo a caso la copertina riproduce il «bel quadro di Gerhardt Richter conservato al Wallraf -Richartz - Museum di Colonia» e intitolato Emma, appunto il nome della presenza femminile che invade la terza sezione Akt (e finisce pertanto con l'assumere una, del resto non inattesa, polivalenza di significati). Va da sé che la riflessione metalinguistica innerva lo spessore di un timbro che resta, per altri versi, inconfondibile: a cominciare dalla maniera di chiudere la strofa, così caratteristica di Giudici, ideale ricettacolo di una erlebte Rede che sempre si risolve in un discorso dell'Io, fatto interprete delle presenze di cui fermenta. È una formula di sottile, e un po' svagato, abbandono, in cui lavoce s'increspa di una sotterranea inflessione settentrionale, una sorta di semitaliano pronunciato con accento lievemente lombardo: « Benché figurarsi a quell'ora» (Sopralluogo); «Lo sapevo da sempre (riderebbe) che sei così / Strano, così scemo» (Studio); «Ma cosa vuoi che sia una volta sola / E senza l'agio d'un letto» (Domine, non sum digna); «E in fondo che male ha fatto in fondo non è sua / La colpa è tutta di quella troia» (Prospettiva). Ed è inevitabile lasciarsi catturare da una quartina come questa: «Benché volevo accarezzarti/ Supplicarti - non far così / Mi fai piangere, assomigli / Senza il sorriso ad Arletty» (Sembiante); che s'imprime nella memoria, col suo profilo di cattivante malinconia. NOTE (1) Sarà preterintenzionale la memoria alcionia di «quest'ospite che v'ode ha orecchio esperto; / vien di Tanagra»? Per altri frustoli di tradizione novecentesca, che riaffiorano come filtrati attraverso un decolorante, si veda ad esempio Luna: «Bianco pane pace di perla / Nella penombra senza velo» e Altra tecnicalità: «Anima essendo la vela / Che vola alla minima brezza» (occhio là all'allitterazione, qua alla paronomasia); ed anche Radianze: «Tutto il miele di me sperda l'amaro».
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