Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

mincia la seconda epigrafe (da Joseph Conrad), che può illuminare l'incoercibile vocazione della parola a tornare su sè stessa, in un ping-pong fra tutto.e niente, fra pronomi e avverbi su cui si gioca la poesia che in altri tempi fu detta 'cosmica': «Nel poi di un dopo che non era» · (Guerra); «Verso il paese senza luogo/ E al punto che mai sarà / Quel punto uguale al suo contrario / Dove è stretta la verità» (Sembiante); «Per il niente che è stato / E il buio che verrà / Del tutto che fu amato / Il tutto che resterà» (Ghirlandetta); «Come talvolta immaginiamo/ Il frattempo di un lontano» (Radianze). In questo paradigma 5 rientrano i vocaboli stranieri disseminati un po' ovunque, senza la protezione del corsivo, ma dichiarati nella nota finale: «Meantime (p.51), assunto come sostantivo, è il "frattempo" 1 [ ... ] in Orazione (p.77) il primo verso in inglese equiva lessicalmente all'italiano "Tienici tranquilli o Nostro Qualcosa"6, mentre il tedesco "Besonderheit des Nichts" del v. 10 è "particolarità (o peculiarità) del Nulla"». È bene cercar di cogliere l'intenzione che ispira questa nota: «Mi accorgo, nel licenziare questo libro alla stampa, che non poche parole o frasi in lingue diverse dall'italiano potrebbero dar luogo nella lettura a qualche difficoltà di comprensione immediata. Mi parrebbe, però, pedantesco accompagnarle ciascuna con l'indicazione dei rispettivi significati letterali e tanto più perché, nel loro contesto di lingua poetica, non sono propriamente da tradursi». L'attitudine sottilmente pretestuosa non potrebbe non richiamarsi alle Note che chiudono i Primi Poemetti («Il lettore non ha certo bisogno dei miei lumi per leggere e interpretare il povero inglese de' miei personaggi») o, meglio ancora, i Canti di Caste/vecchio («Ci sono parolette che mal s'intendono»): né sorprende, perciò, l'allusione esplicita alla categoria di lingua poetica, sulla quale Giudici ha fatto osservazioni di non lieve peso in margine alla sua racdiscussione colta di traduzioni Addio, proibito piangere (Torino, Einaudi, 1982)7. E, necessariamente, anche nel presente caso le schegge lessicali allotrie avranno funzione di esponenti formulari: come «le parole inglesi thighs (cosce) e sighs (sospiri)», che «si legano anche per la loro quasi omofonia», o il « "Gott" (Dio) che tenta di fare rima con "Tod" (Morte)», identificano virtualità riguardate come passaggi al limite dal punto di vista dell'italiano; così anche l'inversione «O te lo sei sognata tu / And we call this Friday good» (Good Friday) corrisponde a un appunto mnemonico di alternative stilistiche esperite nello stesso ambito, genericamente anglosassone, cui risale in ultima analisi tutto un manipolo di istituti caratteristici: in particolare il verso a quattro ictus tendenzialmente costanti e lo scaltrito maneggio dell'assonanza,8 sollecitata (e qui si avverte l'esperienza dell'Onieghin) in tutta la sua gamma di possibilità e di variazioni. In questo sistema trova agevole integrazione lo stesso impiego della maiuscola a principio di verso, che si associa al rifiuto quasi totale dell'interpunzione. Dunque tendenza alla categoria sostantivale, scelta di un lessico provvisto di massima estensione logica, dispersione di vocaboli stranieri con funzione esponenziale sono gli aspetti di una sola, personale indagine che si propone di ricostruire una lingua poetica percepita come ricupero 'storico' attraverso la frantumazione del sogno. La controprova è il corsivo impiegato in lacerti di discorso indiretto libero: «Volevano portarmi alla partita a Torino / Dai vienifacci contenti» (così l'assurdo assembramento di Riunione, in «un dormiveglia sul fare / Dell'alba»: non proprio morti, piuttosto presenze che «Parlavano italiano come me I Anche quelli di Buffalo e di Praga»); è l'esplicita dichiarazione di Lingua: «Belle - gentilissime/ Oscenità/ E pronunziate però in altra lingua / Sempre - pura e perfetta / Che nessuno distingua»9; è, infine, una quartina sintoMaurizioPerugi - 113

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