Linea d'ombra - anno II - n. 4 - febbraio 1984

bottega All'epoca, il 1%8, in cui traducemmo con Mikes questa e molte altre poesie di Orten, non avevo posto attenzione a due particolari che facevano e soprattutto fanno oggi, per me, di questo testo quasi un concentrato di arte poetica; uno di essi - che emerge soltanto nella traduzione, essendo nell'originale il semplice pronome relativo éemu - è la definizione della poesia come cosa; l'altra è il suo primo annunciarsi (nell'intimo dell'autore) con un ticchettìo, che nell'originale è significato da tik<i, terza persona singolare dell'indicativo presente del verbo tik<it. Sul fatto che una poesia sia appunto una cosa, un oggetto cioè percepibile oltre che attraverso l'intelletto anche attraverso i sensi (o almeno certi sensi), mi è accaduto da allora di riflettere più volte, specialmente sulla base di quell'idea di linguapoetica che una sessantina d'anni fa venne definita da un grande critico russo, il Tynjanov, in un suo libro fondamentale: Il problema del linguaggiopoetico. La lingua poetica (cercherò di spiegarlo ancora una volta anche a me stesso) differisce profondamente, anzi sostanzialmente, dalla normale lingua di comunicazione, che è caratterizzata da un rapporto, almeno in teoria, relativamente lineare tra significante e significato. Nella lingua di comunicazione il significante è costituito quasi esclusivamete dal lessico e dalla sintassi, dalle parole e dall'ordine in cui sono disposte, con l'aggiunta (ma non sempre) di quelle che chiameremo sfumature contestuali (per es. certe allusioni o intonazioni ironiche, i doppi sensi, i riferimenti a fatti e nozioni generalmente noti ecc.). Nella lingua poetica le cose vanno molto diversamente: essa si avvale, sì, di una certa lingua di comunicazione (l'italiano, l'inglese, il francese, il tedesco ecc.), ma nello stesso tempo anche di vari altri fattori che sono in diversa misura anch'essi significanti, cioè portatori di significati non necessariamente omologhi (o strettamente peritinenti: anzi, più o meno in conflitto) rispetto a quelli della lingua di comunicazione: il ritmo, per esempio, la rima, l'insieme dei vari procedimenti retorici e dei possibili riferimenti a un certo contesto culturale nonché a determinate occasioni storiche o biografiche proprie dell'autore o anche (perché no?) del lettore stesso. Il "poema" non si risolve dunque nella tranquilla sequenzialità di "significante-significato-senso", ma si fonda su un ben più complesso rapporto fra un sistema di significanti e un sistema di significati che dà luogo fra i primi e i secondi e fra tutti essi in generale a un effetto d'inter-azione (Tynjanov dice addirittura una "lotta") che costituirà in definitiva il senso di quella "cosa chiamata poesia": una cosa che si può capire concettualmente con l'intelletto, ma anche vedere (la misura dei versi, gli "a capo", il disegno delle strofe) con la vista, udire con l'udito come puro insieme di suoni e apprezzare persino indipendentemente dalla conoscenza o meno della particolare lingua di comunicazione di cui il poema si serve... Del resto, ricorderemo Dante al XIV canto del Paradiso: GiovanniGiudici - 95

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