discussione Ora, io penso che sia stato giusto sottolineare gli elementi antitragici, o non tragici, del modernismo. Ciò che invece non mi convince affatto è l'idea, immeritatamente universale ormai, che la dominante ironica della letteratura modernista sia un che di sovversivo, anti-borghese, liberatorio. Le opere "aperte" contraddicono e sovvertono le ideologie organiciste, certo: ma non è affatto detto che, negli ultimi cento anni, la mentalità dominante non abbia sostituito all'organicismo un'ideologia dell'apertura e dell'ironia. Cercherò qui di dimostrare che le cose sono andate appunto così, e che - nonostante l'ironia mi sembri una componente indispensabile di ogni cultura critica e democratica - la sua versione modernista ha un lato oscuro che non ci è affatto familiare, e che è forse ancora più importante, per una cultura di sinistra, di quegli aspetti su cui tanto si è insistito nel recente passato. 2. Iniziamo da un piccolo classico dell'immaginazione modernista (se ben ricordo, lo dobbiamo a Lautréamont): un ombrello e una macchina da cucire che s'incontrano su un tavolo anatomico. Dada, il surrealismo, Pound, Eliot, e altri ancora hanno prodotto innumerevoli variazioni di questa immagine di base - la quale nega ironicamente ogni idea di "totalità" o di gerarchia semantica, lasciando il campo libero per un gioco interpretativo virtualmente illimitato. Immagine-tipo del modernismo, dunque; eppure: è davvero un'immagine così eversiva? Si direbbe che il sogno di Lautréamont non era condiviso soltanto dai poeti d'avanguardia, ma anche - pure la storia ha le sue ironie - dai proprietari dei primi grandi magazzini. Descrivendo, nel 1894, le loro vetrine, D'Avenel scrisse che "gli oggetti più dissimili, quando sono messi l'uno vicino all'altro, è come se si dessero forza a vicenda". "Perché questo?" si chiede Richard Sennett, dal cui Declino dell'uomo pubblico ho tratto la citazione. E risponde: "Il valore d'uso dell'oggetto era temporaneamente sospeso dalla sua esibizione in vetrina. Esso diveniva "stimolante", e veniva voglia di comprarlo, perché d'un tratto si trasformava in un che di inaspettato: diveniva 'strano"'. Un oggetto comune trasformato in qualcosa di inatteso e di strano: ma questa è la disautomatizzazione del modo in cui percepiamo le cose d'ogni giorno propugnata dall"'ostranenje", dallo straniamento del Formalismo russo, antesignano d'ogni critica modernista. Di più: è la tecnica di base della pubblicità moderna, che per parte sua decollò davvero solo dopo gli esperimenti delle Avanguardie storiche, e il cui compito consiste nel dotare le merci di un'aura estetica che sappia sorprendere e piacere. Queste potrebbero essere ancora affinità episodiche e casuali; allarghiamo dunque un po' il campo d'analisi. A cavallo tra Otto e Novecento, nel saggio su La metropoli e la vita spirituale, Georg Simmel 86 - Franco Moretti
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