Linea d'ombra - anno II - n. 4 - febbraio 1984

raccontiitaliani va rapida. Si voltò. Si appiattì contro il muro. L'ambulanza passò urlando fra le case, fino a far male alle orecchie. Allora le parve di capire e cominciò a correre. Che cretina, perché proprio lui? Con tutta la gente che abita in paese. Inciampò e si riprese e vide i volti degli uomini e delle donne, affacciati alle finestre o usciti dai negozi, che guardavano lei. E il bar. E l'autoambulanza. - Il signor Castellari, il signor Castellari, - sentì gridare. Si fermò e si lasciò andare di lato appoggiandosi al muro con il fianco, la spalla e la testa. Cercò un solo pensiero chiaro nella sua mente. Non lo trovò. Vide il viso di Antonio, le domande battute a macchina, gli occhi di Filippo. Le sue mani sudate. Una l'asciugò sui pantaloni e se la mise sugli occhi. Le si bagnò di nuovo. Piangeva. Disperatamente. Quando rialzò il viso l'azzurro lampeggiante dell'ambulanza continuava a scivolare sui muri come un soffio cattivo. Finito il ronzio del fon, sentì le voci crescere lungo la via e i passi concitati moltiplicarsi sopra i muri, le finestre, la strada. Capì subito che era successo qualcosa. Poi il suono della sirena coprì tutto e lasciò dietro di sè solo il silenzio, l'abbaiare del cane e la cantilena del campanello. Clara corse fuori dalla stanza, per il corridoio, fino alla porta. L'aprì. Michele la guardava attonito e affannato. - Che c'è, che è successo? - gli chiese. - Il signor Antonio, il signor Antonio. - Sentì le gambe che le cedevano. Si appoggiò alla stipite e urlò. - Il signor Antonio che? - Prese Michele per le spalle, quasi scuotendolo. Parla; parla. - Si è sentito male, là al bar. È cascato per terra mentre usciva. È rimasto lì immobile. Ora c'è l'ambulanza. - Clara lo scostò e iniziò a correre. Un infarto. L'ultimo. Inghiottì qualcosa di amaro. Pensò che stava per vomitare, che la testa le si svuotava, che le orecchie le pulsavano, come avesse il cuore nei timpani, che suo padre moriva. Un tacco mancò la presa, barcollò. "Resta in piedi, non cadere". Poi si fermò e si voltò indietro. - Michele, presto, chiami Vittoria. Le dica di telefonare subito a mia sorella, che venga. Immediatamente. Io vado all'ospedale. Faccia chiamare anche mio marito, allo studio, che mi raggiunga là. Vada. - Michele fece segno che aveva capito. Che sarebbe corso. Riprese a correre anche lei. Vide la gente e i camici degli infermieri. Facce. Mani. - Oh signora, mio dio. - - Stavo al banco. L'ho visto che usciva ... - Li ignorò tutti. Salì sull'ambulanza. Solo per un attimo una ragazza·appoggiata al muro le parve Giulia. Ma non poteva essere. Che ci avrebbe fatto lì, in paese? Poi lo sportello si chiuse e lei guardò verso la barella. Fu spinta, quasi sbattuta contro la carrozzeria, dalla partenza dell'auto. - Che succede? Come sta? - chiese. Uno dei due uomini che erano sull'ambulanza scosse il capo. - Male. Molto. - Lei lo guardò. Il viso era stravolto. Come contratto. Ma respirava. Era ancora vivo. Gli si avvicinò, cercando di non disturbare il lavoro dei due inGiorgiovan Straten - 77

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