Linea d'ombra - anno II - n. 4 - febbraio 1984

raccontiitaliani amici. E non ci si sapeva decidere. Come si spendono i denari che abbiamo? E io, ora, i giorni che mi restano, e le forze? Ci sediamo su una panchina e i soldi li teniamo in tasca, o proviamo a vincere con le palle, o un gelato, o una bibita per quella ragazza bruna? Mi metto in poltrona, fermo, per resistere ancora mesi, o giorni. O vado nei campi, e mi sento morire? - Antonio si riscosse, come sorpreso. - Ma che le sto a dire? Sto invecchiando e divento verboso, come un bambino. - Vittoria si lasciò andare. Era rimasta immobile, tutta tesa. Non fare niente che lo possa distrarre, che lo possa fermare. Forse è il tuo premio dopo tanto lavoro, essere un po' amici. Ma ora si era fermato. - Che stupida. - disse - Ho il minestrone per stasera sul fuoco, bisogna vada a vederlo. - - Stupido io, che le ho fatto perdere tempo - disse. - Allora vado fino al bar, lo dica a Clara. Mi muovo poco, nessun problema. Faccio due chiacchiere e torno indietro. - - Non si preoccupi, glielo dico io alla signora. - Sentì il portone di casa sbattere mentre Antonio usciva. Spense il televisore e andò in cucina. Era stata vigliacca a lasciarlo parlare così. Come se lo avesse trovato nudo nel bagno e fosse rimasta a guardarlo. Come la volta che aveva sorpreso quei due nel fienile e si era messa dietro la porta a pensare alla sua gioventù e all'amore. Non si ruba ciò che gli altri non ci danno, o che non si riesce a trovare. Non si prende un'amicizia nascondendosi, facendo finta di essere una sedia. Si risistemò la gonna, spiegazzata per quanto c'era stata seduta e si sfiorò la fronte con un mano. Si sentì triste e vecchia e sola. Alzò il coperchio della pentola e guardò dentro, poi tornò nell'altra stanza. Riaccese la televisione e ci si sedette davanti. Niente di meglio di questo per passare il tempo. Poco o molto che fosse. La luce pendeva dal soffitto con lampade larghe. La stanza, nel retro del bar, non aveva finestre, così i lumi erano sempre accesi e i riflessi immutabili. Intorno ai tavolini gli uomini giocavano a carte, attenti, bestemmiando i sigari e il seme di briscola. Antonio si fermò un momento sulla porta, in mano il bicchiere col vino, e aspettò che lo notassero loro. - Oh buonasera, signor Castellari, - gli disse uno dei giocatori e qua e là dai tavoli udì il brusio di quanti si univano al saluto. Lui rispose vagamente, seguendo col volto e un sorriso le pareti della stanza. - Antonio, vieni qua, - gli disse il farmacista seduto a un tavolo alla sua sinistra. Antonio avanzò verso di lui, pensando alla sua bocca un po' impastata, alla sete, al vino. Il malessere, il dolore lo prendevano e lo lasciavano accordati al ritmo dei suoi passi. Come in un continuo agguato. Si sedette alle spalle dell'uomo. Vedeva le carte calate e i colori dei semi,'e gli sembrava girassero come in un vortice, e non capiva il gioco e i commenti. Si era seduto, ma il dolore sordo stavolta non lo lasciava, anzi si faceva più acuto. Come una foschia sui suoi occhi, come un torpore nella sua mente. Calmarsi. Posare il bicchiere. - Ma quale avrei dovuto giocare, se non questa? - disse il farmacista. Giorgio van Straten - 75

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