raccontiitaliani - Bene, è l'ora di tornare a casa - disse. - Andiamo Michele, ormai ti sarai stancato di stare qui seduto. - Clara si piegò verso di lui e lo baciò teneramente su una guancia. No, non -aveva bisogno di ricompense, ma gli era grato lo stesso per il suo affetto. - Arrivederci, Giovanni. - - Arrivederci, Antonio, fra poco veniamo su anche noi. - Salì sull'auto e si lasciò andare, schiacciato sul sedile dal peso e da un po' di stanchezza che stava emergendo dentro di lui. Fu avvolto da un senso di torpore, mentre l'auto saliva verso la villa. L'aveva ritrovato, col tempo sarebbero affiorate anche le parole, ciò che contava era sentire di nuovo Filippo dentro di sè. L'inchiesta era conclusa. No, non aveva più un nipote nella realtà, nella bellezza dei campi, nelle vuote stanze della sua casa, ma dentro il suo cervello sì. Aveva capito, non molto e avrebbe potuto spiegare. "Cosa ho risolto? Questo vuoi sapere Giovanni?" Niente per chi la pensava come quel bell'architetto, ma per Antonio era il ritorno nel mondo, la riconquista della sua comprensibilità. Il suo volto si rifletteva nello specchietto, chiuse gli occhi. "Sono arrivato al traguardo" pensò. Per terra, finito il mosaico, non rimanevano che i tasselli disordinati dei suoi sensi di colpa. Anche di quelli avrebbe parlato con Giulia. Guardò fuori dal finestrino, verso il cielo. "Era tempo che ci salutassimo di nuovo, Filippo" sussurrò, attento a non farsi sentire da Michele, poi sentì la sua mente che volava verso l'alto, superava gli alberi e le siepi e l'acqua del fiume, vide il mondo sotto di sè. Fu svegliato da Michele che erano già a casa. Era notte. La villa era avvolta dal buio, non si udiva nè un suono nè un fruscio. Ora il silenzio le piaceva, chiudeva dolcemente una giornata migliore. Sapeva che non bastava ancora, ma a volte è sufficiente poco per sentirsi più vivi. Giovanni era su in camera che leggeva. Gli altri probabilmente dormivano già. Clara seduta sul divano del salotto guardava davanti a sè, calma, mentre con le dita scorreva i bordi della sua vestaglia. La vita le comunicava di nuovo un senso di caldo, come dopp una gita in montagna. Si sentiva bene e anche il babbo le era parso più sereno dopo aver parlato con Giulia. Forse il problema non era trovare la verità, ma che ognuno si desse una risposta soddisfacente. Non c'era da illudersi, sapeva bene che non era altro che una tregua. Ma sperò almeno che non durasse troppo poco. Risalì le scale e si fermò sulla porta della stanza di Filippo, poi entrò dentro. Non accese la luce, ma si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Tutto era blu e nero: i campi, le sagome degli alberi e delle case. Non c'erano più luci accese, se avesse guardato con attenzione forse avrebbe visto uscire gli gnomi. Chissà se Filippo sentiva così, se poteva vedere o pensare o se per lui era tutto finito. "Continuerò a pensarti, ad amarti, comunque, te lo giuro". Aprì i vetri e rimase a ascoltare i piccoli rumori della notte. Una macchina lontana, un cane, mille lievi scricchiolii . Poi richiuse la finestra. Sì sentì gli occhi umidi, ma finalmente non per l'angoscia. "Buonanotte" disse al mondo, alla casa, ai suoi ricordi più dolci, a Giovanni che l'aspettava nel letto, e andò a dormire. Giorgiovan Straten - 69
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