raccontiitaliani a meno dell'autista e ricomincio a guidare" pensò. Sul selciato l'acqua della notte disegnava arcobaleni oleosi. Posò la tazza col caffè sul tavolo, prese una scodella e la riempì di latte e fiocchi d'avena. Poi guardò il muro, cercando di immaginarsi il latte e i corn-flakes che ci scivolavano sopra. Tirare tutto contro la parete: un modo come un altro di sfogarsi. Aveva dovuto far alzare Francesco e scaraventarlo fuori. "Forza, muoviti, arriva il vecchio Castellari", e lui intontito se n'era andato con la faccia di chi sa di aver subito un torto, non solo per le ore di sonno perdute. Erano sei mesi che combatteva la sua guerra silenziosa per rubare spazi al nipote e ora ci si metteva anche il nonno. L'aveva mandato via, quasi spinto, e subito dopo aver chiuso la porta le sembrò che questa fosse già una vittoria di Antonio. "E bravo", pensò "la prima l'hai combinata che ancora non sei arrivato". Ma non era questo che la disturbava di più, che la faceva pensare al latte e ai fiocchi d'avena. Il punto era che Francesco l'aveva mandato via, ma lei era dovuta rimanere per affrontare Antonio. Era sicura di odiarlo quel vecchio maledetto, quell'uomo bello e pesante, quell'investigatore pignolo e asfissiante che la perseguitava da un anno. E lei per un anno intero aveva resistito, lo aveva respinto, aveva rifiutato di parlare con lui. Fino a ieri. Poi si era arresa, e non sapeva perché. Forse perché era malato, o perché era solo, o perché lei era l'ultimo tassello della sua inchiesta, come le aveva detto. Ma se era così, probabilmente era tutto inutile, perché Giulia aveva capito che a Antonio mancava ancora un criterio con cui sistemare tutti gli altri pezzi e lei non era in grado di darglielo. Non avrebbe saputo che dirgli. "Ero la donna di uno che è morto, che si è ucciso, e ora sono la donna di un altro, e faccio il mio lavoro, che è lo stesso di prima, e non so altro". Davvero solo questo? Nient'altro, se non il fatto di arrendersi e cercare di andare avanti. Ed eccolo invece Antonio Castellari, l'uomo che voleva aver torto o ragione, capire con semplicità quel groviglio di confusione. Ma non aveva né torto né ragione, perché non era una questione di morale. Provò a leggere un libro, per calmarsi. Ma gli occhi le scorsero su una frase innumerevoli volte, senza capirla. Si alzò e andò in bagno. Il suo viso nello specchio le diede coraggio, le fece ricordare perché gli aveva detto di sì. No, non si sarebbe fatta rovinare la giornata da lui. Mise il dentifricio sullo spazzolino, aprì il rubinetto e abbozzò il motivo di una canzone che aveva sentito alla radio. Ora lo sapeva di nuovo, l'avrebbe potuto giurare, era più forte di lui. L'obiettivo era non coprire col piede le fessure che separavano l'una dall'altra le pietre del marciapiede. Un gioco che faceva sin da piccolo, e forse poco dignitoso per un vecchio. Gli serviva a passare il tempo quando se ne andava in giro, perché non era di quelli che provano soddisfazione per il solo fatto di camminare. Ora però il centro era chiuso al traffico e la macchina l'aveva dovuta lasciare insieme a Michele nella piazza fuori le mura. Si accorse che non riusciva a evitare le righe e capì che stava affrettando i passi come un bambino curioso. Dal cuore gli arrivavano ventate calde sul viso e nella punta delle dita. Non gli capitava da due o tre anni. Dal tempo della sua ultima amante. Era strano, la prima cosa che ricordava di lei erano le mani, sottili, rovinate e veloci. E poi il viso piacente e il seno florido noGiorgiovan Straten - 61
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