Linea d'ombra - anno II - n. 4 - febbraio 1984

raccontiitaliani folla in cui era arduo distinguere il sesso e l'età, inguainata di nylon, scarpata di plastica, rossa azzurra gialla metallizzata, tutti nuovi fiammanti come appena usciti da una vetrina o da una pagina pubblicitaria. Molti sciatori schizzavano dal seggiolino uno, due, tre metri prima dell'arrivo per guadagnare la pista con uno, due, tre secondi d'anticipo, precipitarsi giù e riprendere il primo seggiolino disponibile, in gara per l'eliminazione di ogni tempo morto. L'entusiastico lavoro alla catena prevedeva anche brevissime soste al bar, un grigio edificio a ridosso della stazione, che offriva panini, coca-cola ben ghiacciata, caffè, tè Ati (o Star?), cartoline, suvnir, rullini fotografici. Disponibili anche due o tre grappe, compresa quella fatta con il cuore della distillazione previa eliminazione della testa e della coda, nonché liquori regionali dai vivaci colori prodotti in monasteri immaginari. C'erano perfino i gelati, non ricordo se Motta, Besana, Binaca, Manzotin, Chicco o Dixan. Seggiovia, pista, seggiovia, bar, pista, seggiovia, pista, seggiovia, fotografia, pista ... Di turno mia moglie per sourveiller et punir il bambino, ero in libera uscita e con l'unica compagnia dei miei giornali avevo occupato una sdraio sulla terrazza panoramica, pressoché sgombra a quell'ora, il flusso svolgendosi tutto, il traffico, nello stretto corridoio tra la terrazza e il bar che costituiva la via più breve dall'arrivo della seggioviaalla partenza delle piste. Oltre a me, soltanto due signore in religioso silenzio, concentrate nell'abbronzatura del viso. Dopo aver vanamente tentato di approfittare di Valerio Castronovo, indeciso tra le contigue seduzioni di Laura Lilli e Alfonso M. Di Nola, ecco giungermi all'orecchio un parlottìo sommesso e stranamente gradevole. Proveniva, come potevo osservare di sottecchi, da una coppia appena sbarcata, uscita dalla corrente e appoggiata al parapetto della terrazza, a pochi passi da me. "Come ti senti?" "Un po' stanco". Età tra i quaranta e i cinquanta ben portati, lei piccola, la faccia pulita e volitiva, lui alto, leggermente curvo, visibilmente affaticato. Un malessere momentaneo dovuto al salto di quota o qualcosa di molto più grave? oppure una convalescenza? "Un caffè?" Una certa stanchezza, del resto, doveva esser connaturata a quel volto perplesso, una stanchezza adolescenziale, e giovanili erano i lunghi capelli pur striati di grigio ma graziosamente ondulati e scomposti su cui passava ritmicamente la mano. "Davvero non vuoi prendere nulla?" "Ho solo bisogno di riposarmi un po'.'' Del dialogo non ricordo quasi altro, anche perché parlavano a voce bassa e talvolta, spostandosi, uscivano dal mio campo auditivo. Ma più delle parole, contavano il tono, l'atteggiamento. L'apprensione e la sollecitudine di lei non avevano nulla d'invadente, di offensivamente protettivo, né in lui c'era ombra di vittimismo o insofferenza. Accettava il suo momento di difficoltà senza vergogna, con naturalezza, limitandosi a parlare lentamente per mascherare l'affanno. E ricambiava spontaneamente cortesia e attenzione alla compagna. La particolare circostanza non sembrava aver alterato 58 - Piergiorgio Bellocchio

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