Linea d'ombra - anno II - n. 4 - febbraio 1984

raccontiitaliani lutavo appena quando lo vedevo steso al sole con gli occhi semichiusi, anzi con quei sospetti che mi frullavano me ne stavo quasi alla larga. Fu lui una mattina a venirmi sotto. Di brutto. Stavamo in fila per andare all'aria, una coda quasi ordinata, perché le guardie potessero perquisirci prima di lasciarci scendere al passeggio. Lui stava alle mie spalle, mi parlò sottovoce, come sanno fare i carcerati quando vogliono parlarti sottovoce, e tu capisci tutto benissimo ma nessun'altro riesce a sentire cosa si stia dicendo, fosse anche a un metro da te. "Quel tuo amico lì, quello nuovo arrivato, quello butta la gamba che non mi piace, quello puzza," e si mise le dita a vu sotto il naso. Dovevo mollargli un cazzotto? Non so, forse un altro l'avrebbe fatto, forse si faceva così, ma io non ho mai dato un cazzotto a un vecchio. Avvampai di rabbia e avvampai contro me stesso che non avevo mai dato un cazzotto a un vecchio e adesso non sapevo cosa dovevo fare e magari tutti mi stavano guardando e tutti sapevano quello che stava succedendo e si aspettavano quello che sarebbe successo per giudicarmi. Posto di merda. Parlai sottovoce. "Sei un vecchio pazzo e stronzo. E sei geloso. Sei geloso perché io ho un amico vero e tu sei rimasto fottuto. Sei pieno di rabbia, di rancore. Sei un galeotto, un soprammobile del carcere. Ti smonteranno con le altre suppellettili solo se decidono di farci lavori, qui dentro. E ti seppelliranno nel cimitero del carcere, lì vicino dove vai a piantare quelle tue lattughe del cavolo. Ci pianteranno le lattughe su di te. A me se lo scordano di... " Mi interruppi, i miei sospetti. Non rispose, non disse nulla. La fila continuò ad avanzare, delle manacce mi tastarono, arrivai al passeggio. A parlare fitto fitto con Piero, ma non gli raccontai del vecchio. Quello squilibrato rimbambito, cosa ne capiva dei nostri rapporti di compagni? Poteva magari indovinare le spie del suo giro di teppa, la canaglia lui la conosceva bene. Ma noi politici, noi comunisti, noi rivoluzionari eravamo altra pasta, altra storia. Chi tradiva da noi diventava riformista, mica faceva il soffione. Non volevo più pensarci, mi c'ero già fatta troppa bile. Mi tuffai nei discorsi con Piero, che cosa c'era ancora in piedi, e lui mi faceva domande su questo e su quello, lui un mucchio di cose non le sapeva sui nostri compagni fuori, perché c'erano certe regole e bisognava rispettarle. Slittavo quelle sue domande, se devo dire perché non saprei che rispondere, ero refrattario a particolari, sempre stato e anche Piero d'altronde, che diavolo gli veniva in mente di chiedermi certe cose? Mi accaloravo piuttosto a parlargli di un progetto di fuga, e lui diceva che ci voleva tal materiale e non era facile procurarselo, e se io sapevo da chi e come avrei fatto a portarlo dentro, e poi che non ce l'avremmo fatta da soli e ci volevano altri, e se io ne avevo già parlato con qualcuno lì e chi sarebbe venuto con noi. Camminavamo avanti e indietro nelle ore d'aria, io gli facevo vedere certi angoli su cui m'ero fatto dei ragionamenti, e il muro di cinta lì è un po' più basso. Camminavamo 38 - Lanfranco Caminiti

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