Linea d'ombra - anno II - n. 4 - febbraio 1984

raccontiitaliani per gioco, con l'abilità consumata e quella crudeltà che ti ci vuole quando devi vincere al gioco. Sulle prime non ci credevo. È andato, mi dicevo, dopo tutti questi anni di galera il cervello gli s'è fatto pappa. Giudicare gli uomini dal passo, pensa che assurdità. Giusto all'inferno può venirti una fissa simile, e io all'inferno non voglio viverci, non mi ci voglio abituare. Poi sospettai. Lo confesso, e a ripensarci ora mi darei testate al muro. Avrà rapporti con qualche brigadiere, o con la direzione, ma sì, deve essere così. Lui guarda gli incartamenti di tutti e così fa facile a indovinare i reati e le condanne, e poi in tutti questi anni che vive qua dentro avrà accumulato date, nomi, relazioni, conoscenze. Sa tutto di tutti, li vede entrare e a volte uscire, poi tornare, e ascolta racconti, i giri delle bande fuori, i traffici, gli ci vuol poco a farsi un'idea e poi, l'occhio del coatto. E sulle spie? Dev'esserci sotto qualche accordo, ogni tanto bruciano uno, pesci piccoli, e coprono le spie grosse, quelli che praticamente gestiscono il carcere con la direzione e possono starci anni in galera ma poi escono. Mi spiegavo così quei due centri che aveva fatto. Mondezza, robetta che strappa le borse alle vecchiette e che quando arriva dentro si mette a raccontare tutto quello che succede alla prima guardia che gli capita, e ti fanno la denuncia se t'hanno visto che hai una lama o una siringa o qualche soldo vero o un pezzetto d'erba per uno spinello. Ma in un carcere non succede solo questo, ci sono le cose pesanti, e per quelle ci vogliono le spie pesanti. Sì, avevo sospettato di lui. E se ne accorse, ma continuò a darmi la sua amicizia. Era saggio lui, e io camminavo svelto a quel tempo e credevo che gli uomini si giudicassero dalle parole e non da come poggiano le gambe. Poi ci fu Piero. Piero, compagno mio, amico, fratello, Piero delle prime lotte all'università, dei cortei antifascisti, Piero con cui tiravo bocce sui gipponi, Piero con cui ci vivevo insieme e non ci provava mai con le mie ragazze e io mai con le sue, Piero con cui rubai la prima pistola, e saltammo il bancone della Cassa per portarci via dei soldi che servivano alla rivoluzione. Piero ora in carcere, a seguirmi dopo poco il mio arresto. Abbracci, un casino d'inferno perché gli dessero quello che gli serviva, devi gridare sempre per le stronzate più stupide da ottenere, ed erano cinque giorni che aveva passato in questura e la fame se lo divorava, e poi appena entri sei sbandato, non capisci niente, ci sono quelli che conosci ad aiutarti e, cristo, m'ero fatto per nulla quella esperienza più di lui se non ero capace di aiutarlo subito, di dirgli fai così, fai cosà. Abbracci, a togliersi il fiato, a coccolarsi, scapperemo, ho già una mezza idea. Che giorni. A discutere fitto, io sempre a chieder notizie, e quello come sta andando? e in fabbrica? al collettivo degli studenti c'è stata rottura? ma lasciali andare quei cacasotto. Siamo insieme di nuovo Piero. Trascurai il vecchio per quei giorni, avevo altro da pensare, e lo saLanfranco Caminiti - 37

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