apertura Il giorno seguente alcuni dei compagni scesero a Gerona. Era stato dato l'ordine di evacuare la città. Sulla strada principale e nelle vie laterali c'era una fila interminabile e confusa di mezzi e di persone. Automobili, camion, cannoni, mitragliatrici, tartane e carretti, gruppi di soldati in formazione, famiglie intere, uomini donne e bambini a piedi, greggi di pecore, si precipitavano e si ammassavano gli uni dopo gli altri. Ai crocevia "le guardie d'assalto" in uniforme dirigevano il traffico. La sera dello stesso giorno le strade vicinali si riempirono di intere famiglie di contadini che abbandonavano le case terrorizzati dalla minaccia imminente dell'invasione. Portavano con sé quanto potevano - carri, materassi, vacche, capre, galline - e avanzavano lentamente in direzione della Francia a ingrossare una fila interminabile, sulla strada di Figueras. Portarono al nostro rifugio solitario voci iperboliche. "Gli italiani sono sbarcati a Rosas." "Le truppe africane scendono a Puigcerda e minacciano di tagliare la frontiera ... " Venne un momento in cui molti perdettero ogni serenità, sentendosi soli, abbandonati da tutti. Di Puche e di Trias non si sapeva più nulla. Nessuno dubitò di loro neanche per un momento, sapevamo che la loro vita era continuamente esposta al pericolo. Si poteva fare affidamento solo su una piccola automobile sulla quale erano arrivate nella notte altre persone. Eravamo più di trenta. Cinquanta chilometri di una strada impossibile ci dividevano dalla frontiera. C'erano tra noi vecchi, bambini e invalidi. Qualcuno propose di organizzare l'evacuazione per tappe, utilizzando la macchina. Che si riempì subito, tra piccole scene sgradevoli. Una volta di più Machado dimostrò la sua nobiltà. Seduto coi suoi vicino al balcone osservava i campi; e taceva. Solo una volta si volse verso di me per dirmi con voce sicura e tranquilla: "Se si organizza l'evacuazione, io sarò l'ultimo." L'auto non fece ritorno. Il nervosismo andava esacerbandosi. Quando già stava arrivando al parossismo, giunse un inviato di Puche. Sulla provinciale era in attesa un'ambulanza con ordini precisi. La notte era oscura, nera. Ci caricammo delle nostre cose e imboccammo il sentiero. Nell'ambulanza c'erano già alcune persone. Alcuni dovettero sedersi o buttarsi sopra i bagagli. Non c'era più posto, e fu necessario abbandonare una parte dei nostri pacchi sulla strada. Ci addentrammo nella sierra per una stradina tortuosa e venimmo condotti al mas Faixat, una grande masseria nel mezzo del bosco. L'edificio era già occupato da altre due carovane portate lì anch'esse dalle ambulanze di Puche. Persone di ogni età e condizione si muovevano nel buio delle stanze, delle scale e dei corridoi. Valigie fatte e disfatte e persone che vi si erano sedute sopra ostruivano il passo. La maggior parte si raccolse nella cucina, una cucina antica, enorme, patriarcale. Il fuoco del camino ci riscaldava e illuminava vagamente la sala di una luce rossastra, indecisa. Le figlie del dottor Puche distribuivano bicchieri di latte. Le ore trascorrevano lente. Andirivieni continui, ordini e contrordini. Le difficoltà dell'esodo si moltiplicavano. Mancavano auto, mancava benzina. La strada verso la Francia era ostruita dalla massa dei fuggiaschi. Verso l'alba ci venne dato l'ordine di partire. Venne organizzata una carovana di tre ambulanze. Ci dirigemmo verso la strada principale, fermandoci nel villaggio di Bascara per raccogliere gli anziani parenti di qualcuno. Al ponte sul Fluvia le ambulanze si fermarono. La strada era letteralmente 30 - Joaquin Xirau
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