apertura tando Sant' Agostino. Dalla facoltà mi recai a vedere Puche. Non contavo su altre possibili protezioni per i suoi membri nè per Machado, che era sempre nella sua casa della Bonanova. Puche era direttore della Sanità e aveva ai suoi ordini il servizio delle ambulanze. Si assunse la responsabilità di portare in salvo un gruppo di professori e scrittori tra i quali Antonio Machado e la sua famiglia. Quella stessa sera con un colpo di telefono Puche avvertì don Antonio di essere a sua disposizione per l'abbandono della città assieme al governo spagnolo. Machado si limitò a ricordare a Puche che in nessun caso avrebbe abbandonato la madre e la famiglia di suo fratello José. Alle tre del mattino di martedì uscimmo da Barcellona. Machado, sua madre e un'altra persona anziana presero posto fino a Gerona sulla macchina del signor Puche, gli altri in un'ambulanza. L'ambulanza era piena fino all'inverosimile di persone, valigie e libri d'ogni tipo. Le bombe assordavano, e riflettori e bengala illuminavano il cielo. Restammo per più di un'ora sotto il bombardamento sulla Gran Via Diagonal. Tornato il silenzio, ci rimettemmo in marcia. Era la terza volta che la famiglia Machado si vedeva costretta ad abbandonare la propria casa. Nel novembre del '37 avevano lasciato la casa di Madrid. Nel marzo del '38 erano dovuti pasare da Valencia a Barcellona. Allora come ora, agli ordini del legittimo governo spagnolo. La notte era magnifica. La nostra carovana si confondeva nella interminabile fila di carri e di camion che abbandonavano la città. E tutti sfilavano nel buio. Per evitare i mitragliamenti dell'aviazione le ambulanze vennero fatte passare per strade interne e secondarie, attraverso la sierra del Montseny, via Sant Hilari e Arbucies. Su entrambi i lati della strada si vedevano piccoli accampamenti di fuggiaschi che, dopo una giornata di cammino, si erano fermati a dormire attorno a un fuoco. All'interno dell'ambulanza, con le finestre oscurate, le osservazioni e i commenti languivano. Giungemmo a Gerona alle prime luci del giorno. Le strade della città erano piene di veicoli e di fuggiaschi. Enormi camion carichi di casse, di sedie, di ruote e di eliche, di schedari, di macchine da scrivere ostruivano il passaggio. Nonostante la gran massa di gente, il silenzio era imponente. Restammo bloccati per varie ore. Passare era impossibile. C'era un'atmosfera di stanchezza e di paura. Le torri della cattedrale di San Feliu, dorate dal sole e dai secoli, si riflettevano nelle acque del fiume. Gerona è una delle città più venerabili della Catalogna, piena di chiese e conventi, di stradine silenziose e di ricordi di tutti i secoli. Nel momento stesso in cui stavamo finalmente riprendendo la marcia, sonarono le sirene. Venimmo condotti a pochi chilometri a nord della città, nel villaggio di Cervià de Ter, lontano dalla strada maestra. Vi giungemmo uniti dalla stessa angoscia, in uno stato di coscienza vago e indeciso, vinti dalla stanchezza. Il sindaco del paese ci ricevette con affabile generosità, ci offrì un pasto caldo, e ci condusse in una casa signorile a una mezz'ora dal villaggio. A Machado e ai più vecchi offrì per il tragitto una sua tartana, i cui sobbalzi fecero venire il mal di mare sia ad Antonio che a sua madre. Preferirono scendere e proseguire a piedi. José Machado offrì il braccio al fratello e sua moglie sostenne i passi brevi e vaciJlanti dell'anziana. Il sentiero seguiva il bordo del bosco, un bosco di querce e di pini, dai colori del rosmarino e del timo. Sulla destra si stendeva la valle del Ter verdeggiante del primo spunta28 - Joaquin Xirau
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