Linea d'ombra - anno II - n. 4 - febbraio 1984

apertura erano i bombardamenti della città indifesa da parte dell'aviazione italiana. Dai balconi dell'edificio si vedeva la città immensa, silenziosa e quieta sotto il cielo trasparente illuminato dalla luna. Si udivano i suoni ritmici e malinconici delle rane e dei gufi. Sulla natura sembrava calare la grazia. Ma all'improvviso gli urli delle sirene foravano lo spazio. Le esplosioni secche e risuonanti della contraerea accompagnavano ritmicamente le folgori bianche e fredde delle bombe, cui s'incrociavano le rosse traiettorie dei bengala. Le stelle mobili dei riflettori si muovevano indecise alla luce della luna. L'eco sorda e profonda delle bombe gelava l'anima ... Di giorno brillavano nel cielo azzurro i punti argentati degli aerei, e sotto il rumore delle bombe una nuvola di polvere e di fumo ricopriva la città. Don Antonio era di solito sereno e silenzioso, ma in quei tragici momenti non era raro sentirlo esclamare con voce contratta: "Canaglie! Canaglie!" Lo indignavano ugualmente le manovre della politica internazionale che avevano portato l'Europa alla catastrofe. Discutendo di essa e dell'aiuto che la Spagna avrebbe potuto ricevere dai paesi interessati al trionfo della libertà, non condivideva le speranze che il desiderio che ciò avvenisse faceva nutrire ad alcuni, e lo sentivamo dire con frequenza: "Ci faranno una gran canagliata!" Le sere dei sabati e delle domeniche, in compagnia di altre persone ancora, eravamo soliti riunirci in un grande salone molto XIX secolo, con quattro grandi consoles contorte e grandi specchiere dalle cornici dorate cariche di cornucopie. A volte venivano studenti, delegazioni straniere, o inviati della quacchera Società degli amici. Non c'era tabacco. Non c'era tè. La conversazione si sviluppava attorno a tazze di tiglio. Su un vecchio Erard sonavamo musica popolare spagnola - canzoni e danze catalane, andaluse, castigliane, galiziane-, le melodie poco note dei grandi classici della vihuela e della chitarra. Alla musica si alternava la lettura dei poeti più amati e di poesie e coplas popolari. Si evocavano spesso le grandi figure del genio spagnolo - Ramòn Llull e Cervantes, San Juan de la Cruz e Ausias March, Lope de Vega e Luis de Leòn ... Machado insisteva sulla profondità di pensiero delle coplas andaluse, e vedeva in esse il germe di una possibile filosofia spagnola. Rivestita di stile e di dignità poetica, in molte delle sue poesie ritroviamo l'essenza della copia: la sentenza, il pensiero conciso e aforistico. La pace di quella stanza era piena di un fervore contenuto. Nel mio viaggio a Parigi avevo avvertito fin dall'arrivo il brivido di un'Europa smembrata, turbata dallo spettro di un'ecatombe. L'oblio delle meschinità della vita, la serenità e il riposo dello spirito, la chiara coscienza di un destino accettato con dignità e silenzio trovarono l'ultimo rifugio nella sala di gusto romantico in cui don Antonio accoglieva i suoi amici. Quelle riunioni s'interrompevano quando andava via all'improvviso la corrente e gli aerei italiani bombardavano la città. Tornava la luce e rinasceva la copia. Nulla turbò mai davvero la pace di quell'ambiente. In quella serenità non c'era nessun frivolo entusiasmo. Don Antonio aveva previsto da sempre la tragedia finale. Nessun falso ottimismo sosteneva il suo fervore. Il suo atteggiamento era degno, signorile, perfetto, mai vanamente "entusiasta" o istrionicamente eroico. Rimaneva in quell'angolo di Spagna per dignità umana e - lo ripeteva costantemente - per patriottismo. Profondamente radicato, un patriottismo silenzioso ma autentico lo 26 - Joaquin Xirau

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