Linea d'ombra - anno II - n. 4 - febbraio 1984

bottega "Agli runici che mi domandano perché ho lasciato Firenze per la costa ligure, non posso rispondere che sono venuto qui a nascondermi. Mi sono sempre chiesto che cosa avrei fatto a sessanta o settant'anni. Fino ai cinquant'anni si può essere ancora un polemista, oppure un dandy, uno scrittore di mondo. Dopo i sessant'anni, chi esercita il mestiere dello scrivere, deve accettare un esilio popolato di fantasmi. La mia solitudine è perfetta. Ma che importa? Dovrei forse prestarmi a una confessione in pubblico?" Come scrittore professa un'estetica?, gli chiesi. "No. Se l'avessi avuta, tutto il passato non mi tornerebbe in mente come un periodo sprecato. La mia esistenza si è condensata attorno a un vuoto centrale, a un'attivià invisibile che prendeva il nome di letteratura. Ma ne sono stato tragicamente ripagato. Eppure non ho mai tentato di disfarmene, di cambiare mestiere". "La condizione attuale di uno scrittore, di un poeta, se egli veramente è tale, si avvicina molto a quella di un proletario. Era la sorte di Saba, Ungaretti, Penna; è il caso oggi di Elsa Morante, di Anna Maria Ortese". "Come scrittore mi piacciono le ripetizioni nella trama, le varianti, le simmetrie... Una mia passione, il gioco, non tanto quello di azzardo, quanto il gioco con le parole, e da qui una mia eccessiva 'verbigerazione' ... "Lo scrittore è spesso un giocatore, che guida i lenti pezzi, ossia le righe nere sulla pagina bianca prima della scrittura. Ma anche la scacchiera del gioco è un riquadro fatto di due colori, nero e bianco, con le astute pedine: torre, cavallo, regina, re, alfiere... È un rito antico quanto il gioco dello scrivere. E la mano del giocatore (come quella dello scrittore) va conducendo il gioco. J .L. Borges ci ricorda che il giocatore (come lo scrivano al suo tavolo) è prigioniero di un'altra scacchiera, quella impalpabile del tempo, fatta di bianche giornate e nere notti". "Il pubblico è inclemente con lo scrittore - preseguiva - che ricorda solo per l'ultimo libro. Accertata la mia condizione di 'minore', ho preferito abdicare. La società dei letterati ha fatto il resto". Spinto dall'urgenza del suo male (l'asma che lo conduceva alla fine) accelerava la stessa conversazione, temendo forse di non poterla condurre a termine. Sedeva come un manichino di stoffa, ironico e amaro. Eccessivo talvolta quel suo gonfiore retorico. Così quei monologhi e fumismi. Scrittore-reveur, per il quale l'universo è un enigma cifrato, e il mondo esiste solo per diventare racconto. Chiesi: quale è la costante di uno scrittore? Disse: "È la legge della menzogna, contradditorietà, astrazione, indifferenza, talvolta del rimorso, spesso la disperazione. È un lutto senza ragione, come una sensazione di vuoto, anche questa ricollegabileal processo di lutto. Aurelio Andrea/i - 173

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