Linea d'ombra - anno II - n. 4 - febbraio 1984

bottega Aurelio Andreoli TommasoLandolfi e la verginenera Già due volte mi ero fermato a Sanremo senza riuscire a vederlo. Mi avevano detto che viveva in albergo con la giovane moglie e con i due figli. O forse in una villetta della costa, non lontana dall'albergo, da cui dipendeva per i pasti, per la posta, per dirottare gli scocciatori. L'ultima volta, nella primavera del '78, arrivai in quell'alberghetto ben situato, pulito, che ospitava solo poca gente, e avevo fissato la camera per due o tre giorni. Alle dieci di sera, quando già rinunciavo ad attenderlo, lo vedo seduto tranquillamente nella saletta della TV. Carlo Bo diceva che Landolfi poteva sembrare uno scrittore francese fino '800, un decadente come Huysmans o Villiers de L'Isle Adam. Invece pareva un maggiore a riposo, oppure un borghesuccio calmo e gentile, vestito di grigio a righe. Mi ricordai di un vecchio trucco che funzionava bene in circostanze analoghe. Sarei stato uno studente un po' maturo che doveva preparare la tesi in letteratura italiana. Lo scrittore fu gentile, a dispetto della sua estrema freddezza, e mi accompagnò in una villetta non lontana dall'albergo. Ripagavo la sua cortesia inserendo il congegno del registratore nella tasca interna della giacca. Parlò della sua tesi su Anna Achmatova, nel '29. Disse che si sentiva un dilettante in tutto tranne che per il suo lavoro di russista e di traduttore dal francese. Raccontava come la sua aspirazione fosse la critica letteraria più che la creazione romanzesca. Così aveva risentito per tutta la vita di quel "fato malvagio" che incombeva sulla vita letteraria russa. Osservavo i libri. Volumi dai caralleri cirillici, e accando traduzioni curate dallo stesso Landolfi di Puskin, Gogol, Turgenev, Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Bunin, Ehrenburg, Pasternak, Belyi). "Pensavo di suicidarmi - disse - ma ne sono stato trattenuto guardando i russi, che erano più infelici di me, provandone pietà". Poi, quasi a sminuire la gravità della confessione: "Mi occorre di restare in pace, a Sanremo non mi conosce nessuno, sono un tipo nevrastenico. Qui l'aria è così dolce che impedisce di morire". 172 - Aurelio Andreoli

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