Linea d'ombra - anno II - n. 4 - febbraio 1984

narrativae poesia questa prova evoluzionistica ci sconfigge, nessuno potrà sottrarsi al disastro. Le prime armi nucleari furono costruite agli inizi degli anni quaranta per essere impiegate contro i tedeschi. Ma quando le prime bombe furono approntate, la Germania si era ormai arresa e, al posto dei tedeschi, furono gli abitanti di Hiroshima e Nagasaki le prime vittime di un attacco nucleare. Non si trattò di una scelta inevitabile. Leggendo i verbali dei comitati consultivi del presidente americano sull'uso della bomba, e leggendo i rapporti di vari gruppi coinvolti nella questione, trovai con mia grande sorpresa che c'era una forte opposizione all'impiego della bomba contro le popolazioni civili e che gli argomenti usati erano colmi di umanità e di lungimiranza. Erano state proposte numerose soluzioni; una di queste prevedeva di lanciare la bomba nel deserto o nell'oceano al cospetto di osservatori giapponesi, ma fu respinta per molte ragioni. La Marina statunitense sosteneva che con l'assedio si sarebbe conseguita la resa giapponese nel giro di pochi mesi. La produzione industriale giapponese ammmontava ormai ad una frazione delle cifre prebelliche, e le materie prime erano praticamente inesistenti. Una proposta vigorosamente difesa prevedeva di lanciare la bomba su un'immensa foresta di criptomerie situata a breve distanza da Tokyo. Nella deflagrazione gli alberi sarebbero stati distrutti e si sarebbe resa visibile in questo modo la potenza di una singola bomba. Messaggi radiofonici intercettati e decifrati dagli americani, facevano capire, inoltre, che potenti personaggi dell'esercito giapponese in contatto con l'Imperatore fossero convinti che il Giappone non ce l'avrebbe fatta a vincere la guerra e che quindi volessero la resa, anche se solo una resa condizionata che avrebbe salvato almeno in parte la dignità della nazione. Nell'amministrazione USA c'era chi sosteneva che in questo caso particolare la differenza tra resa condizionata e resa incondizionata fosse poco più che una differenza verbale e che una certa flessibilità avrebbe permesso di porre fine alla guerra per vie diplomatiche. Sembrava, ad ogni modo, che si guardasse ora alla bomba con entusiasmo. Essa rappresentava il trionfo dell'audacia, teorica e tecnologica. Gli scienziati che lavoravano al progetto erano così immersi nel risolvere gli innumerevoli problemi, e così esaltati quando vi riuscivano, che finirono quasi tutti per perdere ogni contatto con l'obiettivo finale della loro laboriosa impresa: la distruzione su scala colossale. La bomba costituiva una punta avanzata nella storia delle conquiste umane - il divorzio fra intelletto e sentimento - e si direbbe che ci sia stato nell'aria un desiderio intenso e collettivo di vederla in uso ad onta di qualsiasi argomento. Coloro che vi si opponevano rimasero sempre sulla difensiva. Il genocidio, una strategia che all'inizio della guerra era stata adottata esclusivamente dalle potenze dell'Asse, nel 1945 era ormai ritenuta accettabile da tutte le parti coinvolte nella lotta; il fascismo doveva essere sgominato con i suoi stessi metodi, e la distruzione di massa di Hiroshima e Nagasaki ebbe drammatici precedenti nelle bombe incendiarie sganciate su Dresda e Tokyo. Responsabile del bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki non fu dunque solamente un manipolo di consiglieri militari inclini al genocidio; esso fu reso possibile da uno stato mentale diffuso, dal fascino profondo delle soluzioni tecnologiche, da un imbarbarimento, dovuto alla guerra, delle facoltà discernitive dell'uomo, e da nazioni che, a ragione o a fan McEwan - 133

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