Linea d'ombra - anno II - n. 4 - febbraio 1984

raccontistranieri chi," disse, "sono il testimone oculare." Orrore; sadismo; cadaveri. Come se - Lucy trasse l'immagine da quel vento elusivo che era la voce sussurrante del profugo - come se centinaia e centinaia di crocefissioni avvenissero tutte nello stesso istante. Visualizzò una collina con migliaia di croci, e corpi appesi a grossi chiodi insanguinati. Ogni ebreo era Gesù. Era quello l'unico modo in cui Lucy riusciva a concepire la cosa: altrimenti era solo un film. Li aveva visti tutti, quei film, e la verità era che non suscitavano più in lei la minima emozione. Lo stesso bulldozer che spalava via sempre gli stessi scheletri, lo stesso bambino col berretto, la bocca storta e le mani in alto - se ci fosse stata una macchina fotografica, alla Crocefissione, il cristianesimo sarebbe crollato, nessuno avrebbe più provato niente nei confronti di Cristo. La crudeltà scaturiva dall'immaginazione, e doveva avere l'immaginazione, come testimone. Nonostante questo, stette ad ascoltare. Quello che il profugo raccontava era esattamente uno di quei fùm. Una scena grigia, una collina brulla, una fossa. Tedeschi con l'elmo, con scintillanti cinture nere come il carbone, coi guanti. Un gruppetto di ebrei laceri e smunti sull'orlo della fossa - una vecchia nonna, un paio di bambini, una coppia sulla quarantina. Tutte le facce tinte di grigio, le stoppie sul terreno tinte di grigio, i vestiti flosci come sudari, ma immobili, come se fossero già sotto terra, inaccessibili alle brezze, come se fossero già di pietra. Il sussurro del profugo li scolpiva come statue - eccoli li, un indistinto asterisco di pietra di ebrei, si vedevano le narici, aperte come quelle dei teschi, le orecchie rotonde di pietra dei bambini, l'orribile ramoscello che era il collo della nonna, il padre e la madre che stringevano i bambini ma estraniati l'uno all'altra, non si sfioravano nemmeno, la nonna in disparte, non voleva nessuno e nessuno la voleva, tutta gengive di pietra incapaci di pregare. Eccoli lì. La voce del profugo li catturò e li trattenne a lungo, perché tutti fossero costretti a guardarli. La sua voce costrinse Lucy a guardare e guardare. Le trafisse, quelle figure, col suo sussurro. Poi fece arrivare gli spari. Le figure non vacillarono, non tremarono: la loro immobilità di pietra si dissipò in un istante e caddero di colpo, come sacchi, dentro la fossa. Furono subito un mucchio, gli arti intrecciati a caso. La voce del profugo, come una macchina da presa, portò uno stivale tedesco sull'orlo della fossa. Lo stivale diede un calcio alla sabbia. Tirava calci su calci, e la sabbia cadeva sopra la famiglia di sacchi. Poi Lucy vide le dita degli ascoltatori - erano tutte distese. La stanza cominciò ad alz.arsi. Ad ascendere. Saliva come un'arca sulle acque. Lucy disse dentro di sé, "Questa stanza di ebrei." Le sembrò che la stanza stesse levitando sui granelli del sussurro del profugo. Si sentì sola sul fondo, sotto le tavole del pavimento, mentre la stanza fluttuava verso l'alto, col suo carico di ebrei. Perché non si portava dietro anche lei? Solo Gesù avrebbe potuto portarsela dietro. Un mes124 - Cynthia Ozick

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