bottega poeta-voyant e forse anche un po' voyeur... Non nascondo che un po' mi piacerebbe, su questa idea, soffermarmici, indugiarvi: e perché no? E perché non pensare a un mondo retrostante o sovrastante o sottostante a questo che ci appare, a un mondo di pure e nobili forme prigioniere sotto la scorza dell'abitudine e della volgarità pubblicana e pronte a sgusciar via, a librarsi, a volare per lo spessore minimo del foglio sul quale le trans-scriviamo? Perché vietarci la sognante contemplazione di un universo armonioso di poemi occulti da sempre in attesa delle rispettive epifanie, ciascuno d'essi di volta in volta accettando un qualche ma non essenziale, nè snaturante, condizionamento o adattamento ''biologico'' in rapporto a certe speficiche situazioni esistenziali, culturali e artistiche del soggetto trans-scrivente? Non per nulla il ri-uso del poema da parte del suo futuro e più o meno ipotetico lettore comporta, quasi come condizione decisiva,un prescindere dall'occasione e dalla situazione che furono del poeta; e nel momento del ri-uso (cioè nel momento in cui veniamo coinvolti da una poesia scritta da altri) è in certo qual modo il lettore stesso che ne diventa, nel suo hic et nunc, autore e se ne appropria ... Non voglio far violenza al senso comune e mi limiterò dunque a qualche osservazione abbastanza pacifica ed accettabile, penso, per chiunque. E la prima osservazione è che, in quanto linguaggio "polisenso" (termine, se non sbaglio, introdotto nella terminologia critica da Giovanni Pascoli), la lingua poetica trova le sue origini e le sue ragioni in zone di sensibilità (per così dire) primordiali, che l'evoluzione imposta alla specie dai condizionamenti della civiltà e della tecnologia ha reso come ottuse, atrofizzate, rimosse in un buio aldiquà dell'intelletto. Sembrerà una bestemmia contro il "progresso", ma non credo sia troppo azzardato ipotizzare che la facoltà poetica e artistica in genere (e dunque tutto il sistema percettivo e ricettivo ad essa pertinente) si fondi precisamente su queste zone di sensibilità che, col definirsi e limitarsi del modello di razionalità affermatosi gradualmente nelle civiltà storiche, risultano nella norma degli individui come cancellate odormienti e che sfuggono comunque al dominio della coscienza. Nella sua tranquilla presunzione l"'uomo dei cinque sensi" dimentica quasi sempre di prendere in considerazione la possibilità che questi sensi siano stati in tempi remotissimi anche sei o sette o dieci e che alcuni di essi si siano atrofizzati in quanto resi superflui (almeno sul piano pratico) dall'avvento di nuovi strumenti e mezzi di ricezione e percezione. Progongo un piccolo esempio dei nostri giorni: quanti ragazzi delle scuole medie, avendo ormai a disposizione calcolatrici elettroniche ridotte alle dimensioni di una piastrina, sono ancora in grado oggi di calcolare con carta, penna e cervello la radice quadrata di un numero? Non c'è nessun dubbio che l'uomo della civiltà elettronica o "digitai" apparirà più informato del suo nonno o bisnonno; ma siamo proprio certi che non sarà anche un po' più stupido? 100 - GiovanniGiudici
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==