narrativae diario volentieri e racconterebbe tutto infervorato che l'Ufficio politico fa un pupazzo di neve nel cortile del palazzo del governo ... Ma non si può. I tram sono fermi. I treni sprofondano. I servizi cittadini hanno fatto cilecca. Ancora una volta l'amministrazione ha dimostrato la sua impotenza, si è fatta cogliere alla sprovvista dalla stagione. Lo speaker oggi deve parlare di quello che vedono gli occhi di tutti, di quello che sta accadendo davvero. Ed è per questo che ha paura. Ma cosa sta davvero accadendo? Che è arrivato l'inverno polacco con la neve ed il gelo. E non in maggio: alla fine di dicembre. Era da prevedersi che ad alcuni inverni più miti sarebbe seguito un inverno più crudo. Ma no, loro non lo avevano previsto, non avevano preparato le scorte di carbone, né radunato i mezzi. L'industria si è fermata (qui vicino a noi, la fabbrica di carta di Mirkòw non ha ancora ripreso il lavoro), un convoglio ferroviario che non era stato riparato da anni, si è dissolto al primo soffio della tempesta di neve. Disorganizzazione. Com'è facile sopraffare questo paese, terrorizzato da congiure, all'interno come all'estero. Ba~tano 20° sotto zero e 50 cm di neve, e dopo una settimana ci sono già i problemi con il pane. Dove cercarne le cause, chi accusare? Il governo? Il sistema? La Russia? Noi stessi? Questo inverno ha reso palese qualcosa che è molto più importante: l'oscurità dello stato delle cose ottunde la consapevolezza sociale. Da anni non sappiamo cosa ci possiamo permettere e chi siamo davvero: un paese in schiavitù o di alcoolizzati, un distaccamento di un'avanguardia del mondo o di una colonia sfruttata, o ançQra_un'eterna Polnisch Wirtschaft, dei martiri, degli antisemiti oppure una società inadeguata alla cTviltàcontemporanea? Fin dalla guerra, cioè fin dall'epoca in cui abbiamo conosciuto noi stessi, perché abbiamo confermato la nostra identità, viviamo il nostro destino al di là di un'esperienza reale, sapendo sempre meno di noi stessi come carattere collettivo. Gombrowicz avrebbe detto che non siamo maturi per la forma. Nn sappiamo che cosa emani da noi e che cosa ci sia stato fatto crollare sul capo; non comprendiamo più quale sia il nostro contributo a un conto truccato, cosa vada a nostro danno e cosa a nostro vantaggio. Vediamo la menzogna, ma è sempre più difficile dissotterrare la verità. In casi simili si guarda al passato: quarant'anni fa eravamo ancora noi stessi, vivevamo una vita autentica. Ma anche il nostro passato non è la verità, è solo quel che ci immaginiamo del passato. Così tiriamo a campare tra dovere e leggenda, in qualcosa che dura indipendentemente. Un inverno infine, un inverno veniamo a sapere che è caduta la neve. Allora ci chiediamo: è nostra questa neve? Abbiamo il dovere di metterci a spalare? Ci viene il dubbio che quella neve sia loro, qualcosa che è stato imposto dalla Russia nel quadro dell'amicizia, e che quindi debbano forse essere loro a spalarla da soli. Si rivolgono a noi facendo appello ad un atto sociale: solo che non si sa chi sia che si rivolge a noi: la società o un potere che non è possibile cambiare? Mettiamoci tuttavia alla ricerca di una vanga, bisogna praticare un passaggio in qualche modo, partire. Ci accorgiamo allora che le vanghe non ci sono. E così ci chiediamo anc~ra: chi è che deve procurare le vanghe, il governo o la nazione? Loro o noi? Stiamo nella neve cogitabondi e al tempo stesso incapaci di tirar delle conclusioni. La mancanza di vanghe disattiva non solo la nostra energia - paralizza il pensiero. Ho sempre riso del principe della Bambola di Prus, che nei momenti di impotenza patriottica diceva con un sospiro: "Paese infelice... ". Forse lo ripeteva tr.QP.J!Os~o. Eppure, in fin dei conti, non era affatto ridicolo. 86 - KazimierzBrandys
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==