Linea d'ombra - anno I - n. 3 - ottobre 1983

narrativae diario Ho ascoltato con attenzione il discorso del professor Kieniewicz. Ha parlato senza guardare gli appunti e sin dalle sue prime parole mi ha colpito la forma spigliata e organica insieme. Parlava del ventennio fra le due guerre: era una sorta di schizzo autobiografico. Il professore ha descritto i rapporti e l'atmosfera sociale di allora, intrecciando le riflessioni alla propria biografia. Figlio di una famiglia di proprietari terrieri dei Territori Orientali, studente di storia e poi archivista, si è definito un intellettuale apocalittico, ricordando come lo avesse educato al liberalismo il professor Handelsmann. Aveva partecipato a un suo seminario: tra gli allievi del professor Handelsmann c'erano giovani studiosi sia filofascisti che filocomunisti, ma mai il professore aveva fatto sentire, neanche nelle pur minime sfumature, alcuna differenza nei rapporti con gli uni o con gli altri. Descrivendo le fasi successive della propria vita e del proprio lavoro nella Polonia indipendente, Stefan Kieniewicz le ha inquadrate nell'ambito della realtà di allora, senza tuttavia celarne le mancanze: esistevano disuguaglianza sociale, arretratezza economica, governi arbitrari. Già a quel tempo - ha rammentato - nel pubblicare i propri lavori, aveva sperimentato la censura e l'autocensura. Il professore non ha neanche occultato il fatto che, dopo i primi anni di inebriamento, molti di coloro che avevano lottato per l'Indipendenza, avevano avvertito un senso di delusione per quella statalità polacca, non ideale né completamente giusta. D'altra parte - ha sottolineato - in quella Polonia l'inteligencja si sentiva bene, "a casa propria". Si aveva allora finalmente la sensazione di una normalità e autenticità di vita nel proprio paese. L'inteligencja aveva consegnato le responsabilità del proprio destino agli uomini che lo reggevano, che prendevano decisioni per lo Stato. Ma dopo la catastrofe, dopo il settembre 1939, quando il professor Kieniewicz si era recato a Milanòwek con un treno suburbano, il vagone intero imprecava. E non solo contro le amministrazioni della Sanacja, il gruppo politico di Pilsndski; si mandavano accidenti anche alla gente che nella Polonia indipendente si era sentita "a casa propria", nella propria terra. Non ho riprodotto l'intervento del professor Kieniewicz nella sua successione cronologica. Il viaggio a Milanòwek, subito dopo la disfatta di settembre, il professore l'aveva raccontato all'inizio, ma verso la fine si era richiamato a quell'episodio. Alla fine ha fatto risuonare un ammonimento: anche l'inteligencja polacca di oggi, non esclusi perciò lui medesimo e i presenti, quell'inteligencja che ha pane e companatico quotidiani, un lavoro sicuro, allo stesso modo non si sente responsabile del comportamento del potere: forse anch'essa un giorno sentirà simili imprecazioni, forse le lagnanze contro di lei non saranno del tutto ingiustificate. Ho cominciato a sentirmi a disagio proprio a questo punto. Mi aveva colpito il tono finale dell'argomentazione del professore. Ma in che forma e in che modo l'inteligencja può mai essere corresponsabile dello stato del paese, visto che qualsiasi reazione dettata dal buon senso e dalla coscienza civica comporta la repressione, la perdita del lavoro, la defenestrazione o l'impossibilità di esercitare la propria professione? Conosco molte persone che si sono assunte una simile responsabilità (in sala ce ne erano decine e decine) e eh~ per questo hanno assaporato il pane delle prigioni. Suppongo che il professore non pensasse a loro, mentre pronunciava quelle frasi. Ma a chi pensava allora? Certo a altri, alla maggioranza dei presenti, forse, chissà se non a se stesso. Se così fosse, testimonierebbe un'onestà scrupolosa. A Kazimierz Brandys - 81

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