Linea d'ombra - anno I - n. 3 - ottobre 1983

narrativae diario mia moglie) aveva sentito raccontare da bambino delle lotte insurrezionali del 1863 direttamente dai nonni che a loro volta si ricordavano di persone che avevano visto Napoleone. Si sarebbe anche potuto suddividere l'uditorio relativamente al tempo e al luogo dell'imprigionamento. Ho contato alcune decine di persone prese prigioniere dai tedeschi negli anni di occupazione e altre che erano passate per i campi di concentramento sovietici, e anche chi era stato imprigionato nella Polonia del dopoguerra: nel '49-'55, poi nel '68 e infine nel '77. Negli stessi organi direttivi del PEN-Club si sono trovati assieme scrittori dalle biografie più diverse, un membro dell'Armia Krajowa (6 anni di prigione nella Polonia Popolare), dei sottufficiali di Monte Cassino, due ufficiali di complemento del 1939(prigionieri di guerra di un offizier-lager), un poeta che durante la guerra aveva fatto il tagliaboschi in Siberia. E non li ho certo contati tutti: ce ne erano altri ancora. Quelli che avevano passato la guerra a nascondersi, perché colpiti dal paragrafo razziale, o a fuggire nei boschi come partigiani. E poi quelli che nel dopoguerra, negli anni dei processi e delle persecuzioni, venivano portati "in lettiga" (uso un'espressione che ho sentito in giro) e che ne erano saltati giù per tornarsene a piedi nella direzione opposta. A essere precisi, spesso una stessa persona ha appartenuto a due o tre delle categorie sopra citate. Ho notato inoltre in terza fila una vecchietta elegante che qualche anno fa comprando allo sportello postale dei francobolli - allora si emettevano delle belle serie con tritoni e lucertole e altre ancora che commemoravano avvenimenti politici - aveva detto con l'accento di Vilna: «e a me, per favore, due rettili, tre anfibi e un IIl° Congresso». Tutti presenti a quella serata novembrina del PEN-Club sono venuti, indipendentemente dai propri singoli tratti biografici, con uno scopo comune, forse addirittura con un comune stato d'animo. Erano spinti dalle stesse emozioni: volevano provare le medesime esperienze, la stessa commozione, esprimere cioè il proprio desiderio di una Polonia indipendente e onorarne la memoria. La cerimonia invece, fin dal suo inizio, ha preso una piega del tutto imprevedibile, poco soddisfacente, in leggero contrasto con lo stato d'animo generale. Mi riferisco al primo dei tre interventi: al discorso del professor Stefan Kieniewicz. . Bisogna andare a fondo della situazione per poter comprendere bene tutto. Si sono messi a sedere a un tavolo quattro signori canuti - quattro teste che ritraevano le migliori tradizioni dell'inteligencja polacca. A introdurre la manifestazione è stato il Presidente, recentemente eletto, del PENClub polacco, figlio di un poeta-legionario, nipote di uno dei dirigenti del vecchio Partito Socialista polacco. Tra gli oratori invitati c'erano due illustri storici, professori all'Università di Varsavia. Il primo ha pubblicato una pregevole opera sull'insurrezione del 1863, l'altro, oltre all'autorità di profondo conoscitore della storia della cultura slava, ha un bel passato di militanza clandestina nel!'Armia Krajowa. Di fronte a loro c'erano centinaia di persone a sedere e in piedi, stufe delle non-verità ufficiali, corrose dall'assurdo quotidiano e legate le une alle altre dal bisogno comune di un miracolo e dal desiderio di una leggenda che ridesse vigore. Manifestazioni come queste oggi terminano al canto di "Dio che hai difeso la Polonia", marcatamente accentuate al ritornello "degnati di renderci la Patria libera, o Signore!" (altrimenti cantavamo noi nelle scuole.:li prima della guerra: "degnati di conservarci la Patria libera o Signore"). 80 - KazimierzBrandys

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