bottega Marpessa, che già una volta aveva rifiutato di parlarmi, fosse preparata ad affrontare quello che ci aspettava meglio di me, la veggente: infatti io ero capace di provare gioia per tutto quello che vedevo - gioia, non speranza! - e continuavo a vivere per vedere. È straordinario come le armi di ciascuno, il silenzio di Marpessa, la furia di Agamennone - siano destinate a rimanere sempre le stesse. Io invece, poco a poco, ho deposto le mie e questo è stato tutto quanto mi è stato possibile mutare di me. Perché avevo voluto assolutamente il dono della profezia? Parlare con la mia voce: il massimo. Di più, altro, non ho mai voluto. Dovendolo fare, potrei provarlo, ma a chi? A questa gente straniera, villana e intimidita insieme, che circonda il carro? Vorrei quasi ridere; che la mia mania di giustificarmi stia per esaurirsi proprio adesso che la mia stessa fine è così vicina? Marpessa tace. Non voglio più vedere i miei figli... * * * Ora ho capito quello che il dio aveva voluto: ctrrru Il vero e nessuno ti crederà. Ed ecco di fronte a me quel Nessuno che avrebbe dovuto credermi e non poteva, perché non credeva a niente. Un Nessuno incapace di fede. E allora ho maledetto il dio, Apollo. I Greci narreranno, a modo loro, ciò che accadde quella notte. Mirina fu la prima. E poi colpo su colpo, fendente su fendente, botta su botta. Il sangue scorreva per le nostre strade, e il pianto di Troia si è scavato una fossa nelle mie orecchie e da allora, notte e giorno, non tace mai. Adesso mi libereranno da questo pianto. Più tardi, quando mi chiesero, per paura dei simulacri degli dei, se fosse vero che Aiace figlio di Oileo mi avesse violentato dinanzi alla statua di Atena, tacqui. Non era accaduto davanti alla dea. Era stato nel mausoleo, dove volevamo nascondere Polissena che urlava e cantava forte. Noi, Ecuba ed io, le chiudemmo la bocca con la stoppa. I greci la cercavano per il loro massimo eroe, la bestia Achille. E la trovarono perché il suo amico, il beli'Andron la tradi. Senza volerlo urlò, e che cosa avrebbe dovuto fare, essendo egli stesso in procinto di perdere la vita? Sghignazzando Aiace di Oileo lo trapassò. E subito Polissena tornò in sè. "Sorella, uccidimi" - mi chiese piano. O me infelice! Il pugnale che Enea era finalmente riuscito a farmi prendere, l'avevo gettato, per orgoglio. Non per me, ma per mia sorella, adesso avrei potuto usarlo. Mentre la trascinavano via, Aiace mi fu addosso. Ed Ecuba, che loro trattenevano, urlò maledizi6ni che mai avevo udito. Una cagna, gridò Aiace, rialzandosi. La regina di Troia, una cagna urlante. Sì. Era così. E ora viene la luce. Christa Wo/f - 75
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