Linea d'ombra - anno I - n. 3 - ottobre 1983

apertura do. Nessuno ha mai insinuato che fosse corrotto, o ambizioso in un modo volgare, o che facesse una qualsiasi cosa per paura o per malignità. Nel giudicare un uomo come Gandhi viene spontaneo applicare alti standards, così che alcune delle sue virtù sono passate inosservate. Ad esempio si capisce anche dalla autobiografia che il suo naturale coraggio fisico era proprio eccezionale: il modo in cui morì ha costituito una ulteriore illustrazione di ciò, dal momento che un uomo pubblico che legava ogni valore alla propria pelle avrebbe dovuto essere sorvegliato in modo più adeguato. Inoltre sembra essere stato davvero scevro da quel sospetto maniacale che, come giustamente scrive Forster in Passaggioin India, è il vizio assillante degli indiani, così come l'ipocrisia è il vizio degli inglesi. Sebbene non vi sia dubbio che era abbastanza accorto nel percepire la disonestà, sembra che abbia sempre creduto che gli altri stavano agendo in buona fede e che disponevano tutti di una natura migliore attraverso la quale potessero essere avvicinati. E malgrado provenisse da una famiglia del ceto medio povero, malgrado abbia cominciato la vita abbastanza sfortunatamente, perdipiù con un fisico presumibilmente non prestante, non era afflitto da invidia o senso di inferiorità. Pare che il sentimento razzista, quando lo incontrò nella sua peggiore espressione in Sudafrica, lo abbia alquanto meravigliato. Perfino quando stava lottando contro quella che era effettivamente una guerra razziale, non pensò mai alla gente in termini di razza o status. Il governatore di una provincia, un milionario del cotone, un coolie Dravidian mezzo morto di fame, erano tutti egualmente esseri umani, così da poter essere avvicinati nello stesso identico modo. Bisogna notare che perfino nelle peggiori circostanze possibili, come in Sudafrica dove si rese impopolare nella figura del campione della comunità indiana, non mancò di amici europei. Scritta in brevi pezzi per la frammentarietà richiesta dal giornale, l'autobiografia non è un capolavoro letterario, ma fa ancora più impressione per la banalità di molto del suo materiale. È bene ricordare che Gandhi cominciò con le normali ambizioni di un giovane studente indiano e adottò le sue opinioni estremiste solo gradualmente e, in alcuni casi, involontariamente. C'è stato un periodo, è interessante s11perlo, in cui indossò un cappello a cilindro, prese lezioni di danza, studiò francese e latino, sali sulla Torre Eiffel e cercò perfino di imparare il violino - tutto questo con l'idea di assimilare la civiltà europea nel modo più completo possibile. Non era uno di quei santi che si sono distinti per la loro fenomenale pietà fin dall'infanzia, nè una di quelle nature che rinunciano al mondo dopo sensazionali dissolutezze. Fa piena confessione dei misfatti della sua giovinezza, ma in realtà non c'è molto da cqnfessare. Come frontespizio del libro c'è una fotografia di ciò che Gandhi possedeva al momento della sua morte. L'intero equipaggiamento potrebbe essere acquistato per 5 sterline e i peccati di Gandhi, almeno i peccati mortali, farebbero la stessa figura se messi tutti in GeorgeOrwe/1 - 7

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