ra, magari avvalendosi anche delle scoperte della semiocritica, piuttosto che attardarsi in polemiche ormai superate" (" Il Quotidiano di Lecce", I maggio 1983). Nonsaprei dire però quanto queste parole lediano ragione, a meno che io non abbia frainteso: si tratta appunto di fondare una nuova teoria della letteratura: e, aggiungerei, un modo di attardarsi in polemiche ormaisuperate è anche quello di qualificare come vecchie obiezioni a cui non si è ancora, a ogni buon conto, risposto. Fa parte comunque della fisiologia di ogni disciplina scientifica rivedere e sostituirei propri programmi originari di ricerca, anche se ad essi è legata la sua genesi storica. La semiologia non fa eccezione, e bisognadargliene atto. Ma chissà per quale oscuro motivo non vuole che sia detto, meno che mai che sia detto dagli "altri". E allora ecco spuntare all'orizzonte i nuovinemici(nuovi perché tale è il loro travestimento, non perché abbiano qualcosa da dire che i semiologi illuminati non abbiano già detto in modo assai migliore): i "pragmatisti". Questo recente privilegiare il punto di vista del sociale e dello storico", scrive MariaCorti riferendosi agli ultimi sviluppi della semiologia, "ma senza perdere l'identità propria del testo (a cui sono abbastanza indifferenti i pragmatisti, preoccupati solo dei destinatari) fa evitare il pericolosia del ritorno alla vecchia sociologia sia della ricaduta nello storicismo". Debbo confessare che trovo veramente gratuita questa accusa di "indifferenza" alla "identità propria del testo". Per evitare equivoci, vorrei portare un esempioche non coinvolge direttamente la semiologia, tornando per un istante sull'individualità irripetibile di cui parlava Croce. La Venere di Milo, potremmo osservare,non è affatto di per sè più individualee irripetibile della mia macchina per scrivere;non è qui, sul piano ontologico, che si può distinguere l'opera d'arte dalla non arte. Dovremmo dire, semmai, che noi di solito non guardiamo a tutti gli ogdiscussione getti dal punto di vista della loro individualità irripetibile. Questo orientamento della visione lo assumiamo, per lo più, in contesti particolari genericamente definibili come contesti estetici. Non solo. Qualsiasi oggetto può essere suscettibile di considerazione estetica: ma noi parleremo propriamente di arte quando tale decisione viene istituzionalmente. A fondamento della dimensione artistica, vale a dire, sta un atto pragmatico, "esterno" all'opera stessa (le "opere" di Duchamp illustrano abbastanza bene la questione). Ciò non significa che !"'identità propria" dell'opera sia a questo punto secondaria o trascurabile: al contrario, il contesto in cui la collochiamo ci invita appunto ad assumere tale identità come oggetto primario della nostra percezione (e si tratterà poi di vedere se il corrispondente investimento percettivo riceverà sufficiente compenso dall'opera). Ma sta di fatto che l'appartenenza di un'opera all'arte non dipende solo dalle sue proprietà intrinseche, bensì anche dalle norme di comportamento a cui ci atteniamo: noi lettori, certo, ma anche (ecco un altro soggetto largamente penalizzato dalle teorie semiologiche) l'autore, e la comunità letteraria in generale. Che non esistano oggetti estetici "in sè" è ormai un luogo comune della filosofia dell'arte contemporanea. E stupisce che le osservazioni di Mukarovsky in proposito non abbiano lasciato traccia sensibile nelle teorie semiologiche della letteratura. No: qui il testo letterario è tale, per così dire, ontologicamente; noi lo leggiamo, ed ecco che esso spontaneamente si autodefinisce come testo letterario, in for- , za di sue speciali proprietà oggettive, di ordine linguistico e semiologico. Ora, neppure la comprensione linguistica e semiologica di un testo qualsiasi è possibile (come ha ampiamente argomentato la pragmatica della comunicazione), e neppure è possibile alcuna percezione tout court (come ha ampiamente argomentato la teoria della percezione), senza una cooperazione pragmatica o concettuale del soggetto. Per quale mistero, invece, il riconoscimento Franco Brioschi - 65
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