Linea d'ombra - anno I - n. 3 - ottobre 1983

suciò che è razionale "in sè" corrisponde a un'immagine ingenua della scienza: una descrizionesemplice del mondo non è vera solose il mondo è semplice. I predicati devono, in altri termini, applicarsi realmente aglioggetti, indicando proprietà che essi effettivamente possiedono, ma per fortuna non è affatto necessario che le proprietà dei predicati siano, a loro volta, anche proprietà degli oggetti. E una descrizione delmondo in lingua inglese, è stato osservato, non presuppone per essere vera che ilmondo sia scritto in inglese. Maria Corti, naturalmente, sa benissimo tutto ciò. E infatti giustamente ci invita comunque ad "attrezzarci" e a rispettare chi si è "attrezzato". Le sue rassicurazioni, ripeto, sono forse eccessive, ma a maggior ragione (indipendentemente dal fattoche sia possibile o meno una scienza dellaletteratura) il suo invito resta valido. E resta valido, beninteso, anche e soprattutto quando si riferisce alla linguistica e allasemiologia. Qui, in ogni caso, ci troviamo di fronte a discipline che si presentano come disciplinescientifiche. In quanto hanno per oggetto i processi di comunicazione simbolica,verbali e non verbali, è ovviamente nei loro diritti (per non dire doveri) occuparsianche di letteratura, e ogni polemica a questo riguardo è davvero da considerarsisuperata sotto ogni rispetto. Altre disciplinelo fanno senza scandalo alcuno, nèsivedeperché mai linguistica e semiologia non dovrebbero: il loro contributo è conogni probabilità molto più pertinente, e gli strumenti di analisi che esse ci offrono, siadetto una volta per tutte, sono tanto più utili, in quanto siamo reduci da decenni di critica esclamativa, impressionistica,malata d'ineffabilità. li problema è un altro. Ciò che si obbietta oggi alla semiologia, nonchè a buona parte della linguisticamoderna, è che la loroconcezionedella conoscenza scientifica risultaparecchio sfasata rispetto all'epistemologia contemporanea (o forse quest'ultima non fa parte delle "attrezzature" di cui abbiamo bisogno?). La cosa discussione sarebbe di per sè trascurabile, se la critica sermiologica si riducesse a un semplice repertorio di strumenti a disposizione di chiunque intendesse farne uso: gli strumenti servono per quel tanto che servono, nè si può chieder loro di rispondere a problemi per rispondere ai quali non sono stati creati. Ringraziamo chi ce li ha forniti, e non rimproveriamoli di non averci dato quel che non si erano proposti di darci. Ma io credo che la critica semiologica non sia stata, non sia e nemmeno voglia essere solo questo. Essa ha la legittima ambizione di costruire, o almeno di collaborare a costruire, una teoria della letteratura. E su questo piano, non puramente metodologico, ma propriamente teorico, una concezione troppo rigida della scienza e della razionalità rischia di avere conseguenze non razionali e non scientifiche. Maria Corti mette le mani avanti richiamandosi alla "natura stessa dell'oggetto artistico, ambiguo, polisemico, sfuggente a ogni definitiva sistemazione critica". È questo un classico t6pos della critica formalistica, strutturale e semiologica. Nulla da eccepire, beninteso: e in ogni caso non sarebbero certo "formule, simboli, quadratini, triangolini" a suscitare disturbo (almeno per quanto mi riguarda). li fatto è che un'affermazione del genere, apparentemente "liberale", implica una tesi ben riconoscibile: la caratteristica distintiva, la differentia specifica della letteratura risiederebbe in certe proprietà peculiari del suo linguaggio, come connotazione, funzione poetica, scarto della norma e così via. Alla liberalità sul piano critico (con la conferma dell'infinità e dell'incompletezza delle interpretazioni) corrisponde in realtà una rigidità inaccettabile sul piano teorico: noi avremmo qui una definizione della letteratura, della sua specificità e peculiarità, accertata oggettivamente, una volta per sempre, dalle procedure scientifiche della linguistica e della semiologia. Questa tesi è stata più volte e da più parti messa in discussione, e non trova fondamento alcuno neppure nei maestri a FrancoBrioschi - 63

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