Linea d'ombra - anno I - n. 3 - ottobre 1983

discussione Franco Brioschi Il convitatodi pietra Risposta a Maria Corti Anche questa volta potrebbe essere andata così. Si sa quanto sono litigiosi i letterati (o forse un po' in genere gli intellettuali) italiani: polemiche pretestuose, dibattiti superflui, dispute inconsistenti, tempeste in un bicchier d'acqua. E queste accuse alla semiologia, che lungo la quieta, torpida primavera scorsa hanno preteso di animare una qualche contesa sulle pagine dell"'Unità", del "Manifesto", del "Messaggero", della "Repubblica" e di "Panorama", che cosa saranno mai state? Un rigurgito di intuizionismo crociano, di veteromarxismo antiscientista, di umanesimo storicistico, magari con qualche verniciatura di snobismo à la page? I semiologi non hanno dubbi. Da quale altro contesto potrebbero muoversi accuse alla semiologia, se non da un contesto siffatto? Un'allenza di umori eterogenei, cementata dalla scarsa conoscenza dell'oggetto in questione: ecco tutto. Ancora una volta, una "pseudoquerelle". Tale, in modo più o meno articolato, la risposta che, con una certa virtuosa ripugnanza a misurarsi con interlocutori così palesemente sproweduti, i semiologi hanno dato. Ma a pehsarci bene è una strana risposta, perché non confuta in alcun modo le obiezioni, bensì si limita a qualificarle: soprattutto, mettendole tutte insieme in un unico coacervo, si impedisce di distinguere e di entrare nel merito delle obiezioni più insidiose. "Che non esista e non possa esistere", 62 - FrancoBrioschi scrive Maria Corti, "scienza della letteratura - per la natura stessa dell'oggetto artistico, ambiguo, polisemico, sfuggente a ogni definitiva sistemazione critica, oltre che per la natura del soggetto inquirente o uomo storico, coi suoi condizionamenti personali e sociali, - è nozione che da un ventennio illustrano col loro lavoro i critici semiotici seri, si chiamino Starobinski o Lotman, Chatman o Segre, Riffaterre o alcuni altri stranieri e italiani, ben noti a chi lavora in questo campo" (" Alfabeta" 50/51, luglio-agosto 1983).Tutto ciò sembra molto ragionevole. Vero è che qualcuno ha pur parlato di scienza della letteratura, e che costui si presentava (senza che alcuno lo smentisse) come un esponente autorizzato dello strutturalimo e della semiotica. Ma era solo un millantatore, mosso nel migliore dei casi da giovanileintemperanza: dimentichiamolo, e non parliamone più. Disgraziatamente non è affatto questo il punto, o almeno credo. Le rassicurazioni di Maria Corti sull'impossibilità di una scienza della letteratura sono, a ben guardare, persino eccessive: essere scientifici sarebbe tutt'al più un merito, non certo una colpa. Volendo fare i pignoli, anzi, la sua argomentazione in proposito non persuade fino in fondo. La fisica, la biologia, la psicologia e la sociologia si occupano di fenomeni non meno complessi, ambigui, sfuggentie inesauribili della letteratura. L'idea che si possano produrre discorsi razionali solo

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