Linea d'ombra - anno I - n. 3 - ottobre 1983

racconti italiani con tutta la mia forza, la palla va su, in alto, e poi cade nella ciotola di Custer. Lui abbaia. Ci mettiamo a ridere tutti e due. - Piede storto - mi grida Filippo, ma scherza. Sono un po' stanco e anche lui, ci mettiamo seduti sui mattoni. Stiamo lì a guardare una fila di formiche, quelle nere, buone, che non pinzano. Filippo oggi non è sempre uguale, a volte parla e ride, ma a volte sta zitto e sembra dorma. Però ha gli occhi aperti. Ora mi sto un po' annoiando. - Filippo, che hai? - - Nulla, perché? - E allora tutto a un tratto mi viene da dirgli una cosa, non so nemmeno io come mai. - Stai ancora pensando alle pistole? - Lui mi guarda con gli occhi sorpresi e la bocca aperta, non dice nulla. - Voglio tornare dal nonno. - E mi viene da piangere, ma non lo faccio vedere. - Sì, come vuoi. - Passiamo dalla casa e dal giardino e siamo nei campi, il nonno è sempre lì col cane. Filippo mi fa una carezza sui capelli, io mi volto. - Vieni giù - dico. Lui si abbassa e io gli dò un bacio. Sulla guancia. È simpatico Filippo. - Ciao - gli dico. - Ciao - risponde, mentre sto già correndo incontro a Tim. Lo vedeva ancora, mentre mulinava le gambe, correndo sul viottolo, in mezzo alle spighe di grano. Poi voltò con la strada e il giallo lo coprì tutto. Un bambino. Come aveva potuto capire ciò che pensava? Tornò indietro, attraverso il giardino, dentro la casa. Di nuovo guardò la parete e il grande pannello su cui erano allineate le pistole. Da anni erano lì, sempre le stesse, vecchio ricordo di una passione del suo bisnonno, ma era la prima volta, forse, che le osservava attentamente. In testa gli balenavano a tratti le vecchie spiegazioni del nonno, seguite con una partecipazione ora per lui insufficiente e coperta allora di sbadigli. C'erano un paio di modelli del seicento, di quelli a avancarica con la piastra a acciarino (questo lo ricordava: l'acciarino è quella specie di scodellino d'acciaio, gli aveva detto il nonno). Erano belle, col manico corto e poco curvo e la lunga canna sfaccettata, ma inutili. Non sapeva da che parte cominciare per farle sparare. Queste come le due splendide pistole da duello col calcio d'osso, inciso di figure, e la sua preferita, una Sharp a canna multipla. Meglio provare con le pistole a tamburo; c'erano una Maurer e una Smith Wesson, ma senza munizioni, una Colte una Galand, accanto a ciascuna delle quali erano invece attaccati sul pannello tre proiettili. Si sentiva strano mentre le guardava. Dallo stomaco gli salivano ondate di sensazioni, ma non riusciva a trattenerne nessuna. Neppure quelle fisiche, di freddo e di duro, quando si decise a toccarle. La Colt non era adatta. Lo rimandava all'infanzia, ai film western, ai suoi giochi e tutto questo finiva per scaricarlo, per ricacciarlo in un uragano di nomi, persone, idee. E da lì dentro c'era uscito solo da poco, con la mente vuota. La Galand invece poteva andare bene, con quel suo inconsueto modo di caricarsi (quasi si divideva in due, quando spingeva avanti la leva), che non gli ricordava niente. La staccò dal pannello insieme ai suoi proiettili e uscì in giardino. Guardò oltre la siepe. Non c'era più nessuno. Nè Giusep48 - Giorgio van Straten

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