raccontiitaliani e la rabbia. Clara rialzò il viso e gli sorrise. Si tirò su e un attimo dopo non era più nella stanza. Antonio chiuse la finestra, si avviò verso la porta e fu solo passando davanti allo specchio dell'armadio che si accorse di avere gli occhi pieni di lacrime. - Non è il caso, vecchio, non è proprio il caso - disse a voce alta rivolto al suo gemello che lo guardava attonito dall'altra parte del vetro. Tutta la casa era piena di silenzio e il silenzio a volte è peggio di qualsiasi cicaleccio di gente. Vuoto e intollerabile. li silenzio è d'oro forse per gli asceti, ma non per i sordi e i tristi, e lei di farsi eremita non l'aveva mai pensato. Il babbo era uscito da poco. Lo aveva sentito scendere le scale e sbattersi la porta alle spalle, mentre in bagno cercava di rifarsi il trucco devastato dal pianto. Sembrava un'attrice ormai invecchiata, travolta dalla consapevolezza, prima assente, degli anni, con quei due rivoli neri di rimmel sulle guance. E oltretutto Vialedel tramonto non era mai stato uno dei suoi film preferiti. Era cominciata l'avventura di una nuova giornata, per la precisione quella indicata sul calendario come il tredici del mese di settembre dell'anno millenovecentottanta, ma di mutamenti, rispetto a tutti gli altri giorni, pochi o nessuno. Aveva visto il babbo, Giovanni, il cane, Vittoria, le stanze, la casa, uno spazzolirio, un piatto rotto, uno specchio e chi sa quanti altri oggetti stupidi, ma niente che non avesse già visto in precedenza. Silenzio e vuoto. Intollerabili, ma giusti, adatti per tutti loro. Non meritavano e non chiedevano altro. Scese in salotto, accese il giradischi e mise sul piatto un vecchio successo di Frank Sinatra. Chiuse gli occhi e provò a immaginare una storia delle sue, ma questa volta non vide niente, sentì solo il martellio delle sue tempie. L'angoscia, che le cresceva da tempo nella testa, le scoppiò dentro e si coagulò atroce nella prospettiva insulsa di aspettare la sera per tornare a dormire. Si alzò dalla poltrona e corse fuori in cortile, dove Custer sembrava aspettarla, tranquillo. Il sole brillava, rimbalzando sui mattoni del piazzale. Clara si accoccolò per terra, chiamò il cane e cominciò a carezzargli la testa. II Era disteso sul divano. Immobile. Da quando? Da che il tempo gli batteva dentro la testa. Cercava di organizzare i pensieri, di afferrarli, mentre gli volavano veloci e limpidi sulle pareti del cervello, ma gli sfuggivano, si divincolavano dalla presa e tornavano a scivolare fuori, nel cortile. Pensare, se fosse riuscito a dare al pensiero la certezza che sembra avere il sogno mentre si dorme. A guardarlo pareva tranquillo, quasi fosse appisolato, ma era fermo lì sul divano da più di due ore, con gli occhi aperti, e non aspettava nulla. La casa era vuota, erano tutti usciti; nessun disturbo, nessuna voce, nessuno. Solo un paio di mosche che volavano rumorose nella stanza, il salotto buono di famiglia, un posto pieno di mobili e di oggetti preziosi o strani, tutti comunque carichi di memorie e storie di generazioni. Lui ricordava bene quelli con cui giocava da piccolo, anche se non provava a vederli il piacere Giorgiovan Straten - 45
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