raccontiitaliani Lui la sua parte l'aveva fatta, come gli era riuscito, con la sua testa e le sue braccia, senza far troppo rumore e retorica. Si pettinò i suoi abbondanti capelli bianchi, lisci all'indietro, come gli capitava di fare tutte le mattine da cinquant'anni per lo meno. Si rinfilò la vestaglia e si diresse verso la sua camera per vestirsi. Mentre usciva dal bagno una mosca gli volò davanti. Rapido la prese con la mano, calandole sopra dall'alto e strinse il pugno finché non la sentì chiusa fra il polpastrello del medio e il palmo. Poi la schiacciò e sorrise soddisfatto. Da trent'anni a servizio dai Castellari, dal dodici ottobre del quarantanove. Una vita intera. Di più anzi, perché Filippo era del cinquantacinque e se n'era già andato. Dove li aveva messi allora questi trent'anni? Sei o sette per lo meno gli erano rimasti nella pelle delle mani e sotto le unghie. Otto nelle ginocchia, sicuramente. E il resto nella schiena, negli occhi e fra i denti. Vittoria stava seduta accanto al cane nel cortile della casa a guardarlo mangiare. Si era abituato così e da solo non avrebbe mangiato nulla. "Da soli si fa tutto malvolentieri, cristiani e cani" disse Vittoria a Custer e lo carezzò sulla testa. Custer, come il generale. I cani le avevano sempre fatto pena, anzi le mettevano addosso tristezza e malinconia. Così disponibili e quieti e fedeli. Non come quegli schifosi dei gatti. D'un tratto sentì che qualcuno la stava guardando e sulla soglia della porta della casa vide la signora Clara che la osservava. Era bella sotto il sole, con i capelli che brillavano nella luce della mattina. E la ricordò come l'aveva vista la prima volta, nell'ottobre del quarantanove, quando aveva le trecce e gli stessi occhi di ora e tredici anni compiuti da poco. - Vittoria, ci va lei a fare la spesa? Tanto c'è poco da comprare e se la sbriga alla svelta. - - Sicuro, signora, non si preoccupi, ci vado io, mi fa anche bene fare due passi. - E le sorrise anche, a Clara, affettuosamente, perché sentiva che era giusto così, era giusto per quella ragazzina che le aveva raccontato ridendo dei tempi della guerra, fatta per lei di vacanze in campagna e di scuola saltata e che non sapeva quello che sarebbe venuto dopo. Ed è la salvezza di ognuno, non sapere ciò che lo aspetta. Anche per lei, per Vittoria, era stato un bene non sapere che non avrebbe avuto marito, perché ne avrebbe pianto sulla spalla di Ernesto. E invece con lui, grazie a Dio, aveva solo riso e ballato per tre estati di fila, fino a che non glielo avevano mandato in Russia. Ed era stato un bene non sapere da prima quanto è imbecille la guerra e chi la sceglie e quanto è stronza la fame. Si alzò dalla sua posizione con fatica, perché le gambe le si erano anchilosate a stare così piegata. Il cane corse verso la padrona e le leccò una mano. Clara sorrise. Vittoria si slacciò il grembiule e si avviò verso la casa. Mentre le passava accanto sentì che Clara aveva ripreso a guardarla, piena di attesa. E allora anche lei la guardò e vide nei suoi occhi una voglia di parlare che non trovava il varco per uscire. Si sforzò con tutta la mente e il corpo di capire che cosa le volesse dire, ma non capì. E l'altra non disse niente. Rimasero ancora accanto un momento, poi Vittoria passò oltre, inciampò nello stoino e entrò in casa. - Sono come un cane - pensò, - fedele ma stupida. - 42 - Giorgio van Straten
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