Linea d'ombra - anno I - n. 3 - ottobre 1983

raccontiitaliani ti, ma altri divorati e amati profondamente. I libri di Filippo. Alcuni le avevano lasciato un fondo di inquietudine. Erano quelli in cui si ritrovava qualcosa di lui, quelli che credeva di leggere e capire come doveva averli letti e capiti Filippo. E poi ce n'erano altri che cominciavano o finivano con una morte. Lo sapeva bene che era stupido credere che la loro storia fosse in un libro, ma lo stesso non ce la faceva a non pensare che forse qualcuno di essi la riguardava. C'era un racconto soprattutto che le era entrato dentro profondamente, accidenti a quando ci s'era imbattuta la prima volta, con tutta quella gente che non capiva niente e quel ragazzo con la pistola calibro 7,65 che si sparava in testa. Chissà se davvero a J .D. Salinger era capitato qualcosa del genere. Si alzò dalla poltrona e cominciò a far scivolare le dita sulle costole dei libri, mentre con gli occhi scorreva i titoli. C'erano ancora le storie d'amore? L'orologio del salotto battè la mezza. La mezza dopo le otto. "Voglio parlare col babbo" pensò. - Sono un malato, sono un malvagio. - Sempre Dostoevskij d'attorno, Giovanni sarebbe stato contento. Certo non era roba adatta a un commerciante di vino, ma da quando si era messo a leggerlo, dopo la scenata di Giovanni, non era più riuscito a toglierselo dalla testa. Malato lo era davvero, e malvagio? Egoista lo chiamava Clara, un uomo privo di sensibilità e di rispetto per gli altri (Giovanni). Pare facile tagliare d'accetta, ma lo sapevano loro che cosa vuol dire esser vecchi? Dopo una vita intensa serenamente è spirato. Serenamente. Non si tratta della morte in sè, della paura del dolore, dell'incertezza del dopo. Queste questioni contava di dirimerle al momento opportuno. Il problema per lui era arrivare alla fine con le cose sistemate, anzi, non sistemate, chiare. Ecco. Non si può morire serenamente brancolando nel buio, ignorando il risultato finale. A meno che non si sia rinunciato a capire, ma lui di comprendere era ancora avido. Brutta quella parola, avido, e brutto il tremore della sua mano, non solo per il taglio che gli aveva fatto il rasoio. Si sciacquò il viso, si passò il dopobarba e applicò un po' di cotone sul taglio. Qualche ragione però l'avevano anche loro. Egoista non per voler capire, ma per voler coinvolgere gli altri. Questo era vero. Ma valeva per Clara. Con Giovanni era un'altra storia, da lui veniva ostilità per l'idea stessa. E paura, bello mio, era anche paura. Non chiuse il rubinetto, lasciò che l'acqua scorresse e lavasse via la schiuma e i peli della barba. Paura che lui potesse capire e dirglielo, richiamandolo alle sue responsabilità di padre. Antonio sentiva di aver ragione, voleva averla. E se no, comunque, che lo lasciassero fare, che lo lasciassero morire in pace. Sentì le campane della chiesa. Strano che si fossero sovrapposte così a quest'ultimo pensiero, a quel senso di quiete. Era in quei momenti che credeva di cogliere qualcosa al di sopra di sè, qualche segnale divino. "Aiutate, vi prego, aiutate questo povero e vecchio mercante". Ancora due tocchi. La serenità della campagna e della religione scorreva sui muri. La pace sia con voi, anche dentro il vostro gabinetto. Amen. Se si tirava su, sulla punta dei piedi, poteva vedere fuori dalla finestra, piccola e alta, da quella parte dove non c'erano che campi e il cimitero sulla cresta della collina. "Dio benedica chi è capace di credere, io ho conosciuto troppi preti e guerre e dolori per farcela ancora". Questo pensò Antonio e si guardò le mani lavate e curntP,. Giorgio van Straten - 41

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