Linea d'ombra - anno I - n. 3 - ottobre 1983

raccontiitaliani role non dette. Per una volta avrebbe potuto arrivare in ritardo. Cretino. Si innervosì, pensando ai suoi quasi cinquant'anni che si riempivano ormai di sentimentalismo e piagnistei. Era sempre stato così, poco espansivo, non c'era motivo ora di recriminarci sopra, anche se sentiva che non riusciva più a tenere Clara. La stanza di Filippo era diventata un salottino. Di fatto una stanza che non si usava mai. Di sopra infatti c'erano le camere e i bagni, mentre al pianterreno c'erano la cucina, la sala da pranzo e i due salotti. La divisione era netta e quella stanza al primo piano un pesce fuor d'acqua. Ma di lasèiarla com'era non se l'era sentita nessuno. A poco a poco però Clara aveva ripreso a andarci, quando col tempo, anche per lei, quella stanza aveva perso, almeno in parte, il suo aspetto di "camera di Filippo", era anzi diventata il suo rifugio. Anche ora era andata lì, appena Giovanni era uscito di casa gridando a Vittoria che la colazione l'avrebbe-fatta fuori. Chissà perché si era improvvisamente innervosito, proprio mentre lei lo aveva sentito più vicino del solito. Per quanto avrebbero resistito così? Alle pareti, tolti i manifesti in ia1Titi,Clara aveva appeso delle insulse stampe di marine, che ora non ri ordava neppure dove fosse andata a scovare. Solo un quadro non era rius ·ta a togliere, quello accanto alla finestra, che aveva dipinto Carlo, un amico · Filippo. Era come un strana stazione, così almeno a lei era sempre parsa. Una casa dalle finestre vuote, come occhi di persone assenti, con dei binari accanto, anch'essi vuoti, fino all'orizzonte. E oltre la casa e i binari una distesa di campi. C'era una luce strana, irreale, che dava a tutte le cose un rilievo notevole e insolito. Forse come prima di una tempesta. E il quadro infatti era tutto pieno di un'attesa, quella della tempesta, della gente, dei treni. Clara, col tempo, aveva preso a immaginare questi arrivi. Soprattutto quello dei treni. Era da lì che partiva spesso per avventurarsi, finalmente da protagonista, dentro qualcuna delle sue storie. Guardava il quadro e sognava di andare oltre i binari, oltre il grano dei campi; anche ora, portata da una vecchia locomotiva a vapore, in una pianura dell'est dove non c'era il pericolo degli indiani, ma solo il rischio di innamorarsi. Lei, nella carrozza ristorante, conversava amabilmente con un gentiluomo, come dicevano il vestito e i baffi sottili, la cui faccia le ricordava, al di là di ogni possibile dubbio, quella di Gary Cooper. Oppure si sbagliava e era il ritmo di un'orchestra jazz e la raffinatezza di una festa di una sera d'estate, era New York, come in quel fim che aveva appena visto, li grande Gatsby. O forse, forse la stavano chiamando o era il telefono che suonava. Comunque, e qualunque cosa fosse, la sua mente le segnalava di prestarle attenzione. Doveva svegliarsi. Clara si riprese in tempo per vedere il volto di Antonio affacciarsi dentro la stanza. - Posso andare io nel bagno? - le chiese - Vai pure, tanto ho già fatto prima. - Ora era di nuovo seduta sulla poltrona ampia, dal tessuto a fiori, che aveva fatto mettere nell'angolo- opposto alla porta. Di fronte a lei la libreria, grande e piena, che occupava interamente una delle pareti della stanza; anche quella l'aveva lasciata al suo posto. Via il letto, via il cassettone, via la roba dall'armadio, ma i suoi libri, quelli era giusto lasciarli dov'erano sempre stati. Ne aveva letti tanti nell'ultimo anno, molti solo iniziati e non capi40 - Giorgiovan Straten

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