raccontiitaliani tolto un po' d'afa. - - Forse anche quello, ma mi lasci sperare, povero vecchio che sono, che sia anche il mio cuore a volermi un po' più di bene oggi.. - Vittoria annuì. - Sua figlia si deve essere già alzata, ho sentito di nuovo l'acqua che scorre, su, nel bagno. - Antonio posò la tazza che ancora fumava, piena a metà di caffè. - Io non l'ho ancora vista, ma il cane ha fatto un bel po' di rumore in giardino quando mi sono affacciato, può darsi che sia stato lui a svegliarla.- Vittoria Io guardò un po' sorpresa scuotendo il capo. - Si sveglia da sè la signora, lo sa che si sveglia da sè. - A volte per sopravvivere si raccontava una storia. Che altro poteva fare? Scaracollarsi come il babbo dietro le piste più assurde, per cercare di capire perchè certi fatti succedono? Era un modo di fare da "uomini", come pensare di capire un giorno di pioggia attraverso i processi di condensazione del vapore acqueo. No, era una logica estranea per lei. Ma nemmeno come Giovanni voleva fare. Chiudersi e chiudersi e ripetere gesti e parole come in un'eterna attesa. Ma allora? Che tenere in mano finita la disperazione? Era in quei momenti che cercava di ricordare Filippo pensando alle storie che gli raccontava da piccolo. Fate, maghi, tesori perduti, mondi che anche per lei erano facili a capirsi. Occupazione priva di senso, certo e grazie a Dio. Erano quelle che le sue amiche definivano le assenze di Clara. E davvero in quegli attimi lei se ne andava, a raccontare le fiabe. Una cosa sola continuava terribilmente a rimpiangere, ed era egoismo. Aver fatto un figlio solo, perché almeno in quei momenti a narrare le sue storie non sarebbe rimasta da sola. Ma ormai era andata così e Giovanni di adottare un bambino non ne voleva nemmeno sentir parlare. Avrebbe potuto insistere magari, ma era già così aspro e duro il conflitto fra Giovanni e il babbo che di aggiungerne un altro davvero non se la sentiva. Si riscosse. Forse fu il suo viso nello specchio del bagno. Forse fu il fatto di aver pensato al vecchio. Chissà se la pioggia l'aveva sollevato, concedendo al suo cuore una pausa. Doveva sbrigarsi a scendere per vedere come stava. Se continuava a soffrire come nei giorni precedenti bisognava decidersi a telefonare a Claudia, a Bruxelles, perché venisse a casa. Va bene la lontananza e i disagi del viaggio ma il babbo era anche suo, fino a prova contraria (mater semper certa ... ). Non poteva non pensarci, non riusciva a non pensarci. Quel nome era una continua presenza, una domanda ininterrotta. Perché Filippo si era ucciso? Perché il suo unico nipote se n'era andato così? Non aveva tregua, l'interrogativo durava continuo e pesante, come una pioggia d'inverno. Il suo viso, il suo nome erano lì in agguato. Come in un dormiveglia, quando il sonno, la dimenticanza sono così brevi da non essere mai completamente vissuti e le immagini dell'angoscia riemergono continuamente dentro il cervello. O anima che sia. Aveva capito subito che così non avrebbe retto. Doveva capire. Doveva indagare. Come per Lina, il dolore abbruttente doveva fermarlo con la testa. Ma non era altrettanto facile, per la moglie bastava guardare un elettrocardiogramma, per Filippo non c'era niente di simile. 36 - Giorgio van Straten
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