Linea d'ombra - anno I - n. 3 - ottobre 1983

racconti italiani economica dei Vangeli, due trattati sulla coltivazione della vite (tutta roba inutile come andare a messa) e, simbolo della raggiunta agiat.ezza,una enciclopedia britannica quasi mai aperta. Poco anche negli altri mobili; non pochi vestiti o scarpe, quello no, ma pochi ricordi. Le lettere, i giornali, le fotografie li aveva tutti ammassati dentro un baule e sbattuti in soffitta. "Se no" aveva detto a un amico "tanto valeva spararsi un colpo in testa quando mi è morta Lina''. Così era fatto: tutti i momenti negativi, ostili, dolorosi, li poteva sopportare e poi superare, se aveva modo di capirli, se poteva razionalmente catalogarli. Aveva pianto molto e gli era mancata tanto la sua Lina, ma una malattia, la morte stessa, sta nell'ordine naturale delle cose, quando l'aspetti da anni sul filo di un cuore malandato. Per Lina allora, come per lui oggi. Si era rimesso a lavorare, sicuro di non scordarla, ma attento anche a togliere, nascondere gli oggetti che con più insistenza richiamassero alla mente il suo non esserci. Per il resto il tempo e la speranza di rivederla. "Non per i preti, a loro non credo, ma perché la morte è più grande di noi e non si può sapere che succede dopo''. Era il momento di scendere a far colazione. Sentiva già qualche rumore di sotto e poi aveva voglia di caffè. Si avviò al bagno, velocemente si riavviò i capelli, si lavò il viso. La barba e il resto a dopo, prima di vestirsi. Si guardò ancora un attimo nello specchio, i suoi larghi occhi marroni erano ancora un po' lucidi, ma più vivi, lo vedeva, di ieri e il colore del volto era di qualcosa meno terreo di prima. "Basta contentarsi" pensò, e si mosse dubbioso giù per le scale. Sentiva l'agitarsi del cane in giardino, il babbo doveva essere già sveglio. Nella camera accanto non si sentiva rumore, ma lui era sempre così attento a far piano. Giovanni, vicino a lei, dormiva ancora di quel sonno profondo ma inquieto di sempre, dopo l'accaduto. Qualcuno si muoveva anche da basso, doveva essere la Vittoria, già in piedi, che preparava la colazione. Clara aveva voglia di alzarsi, aveva voglia della luce che filtrava cauta attraverso la persiana. Le piaceva così. Era per questo che lasciava spesso gli scuri aperti, la sera, quando andava a dormire, per evitare il buio completo e un supplemento di angoscia. Fuori doveva essere fresco e l'erba umida della notte piovosa. Aveva voglia di alzarsi, aveva voglia di correre, ma se resisteva, se si fosse lasciata cullare ancora un po' nel suo quieto dormiveglia, avrebbe potuto, almeno così sperava, non portarsi dietro per tutto il giorno il mal di testa, che sentiva in agguato tra la nuca e il cuscino. E lì, distesa e tranquilla, ci sarebbe rimasta anche volentieri se Giovanni si fosse svegliato, come lei, un po' presto; aveva desiderio delle sue carezze e del suo affetto. Anche di amore, fisico. Ma lui invece si sarebbe svegliato all'ultimo momento, assonnato e assente come sempre, e silenzioso sarebbe scivolato nel bagno. Parlavano poco e d'altro. Eppure gli voleva bene e tante volte lo sentiva vicino a aprirsi, a parlarle, a toccarla. Eppure lei era ancora bella, col suo viso dolce di un tempo solcato solo da qualche ruga tra gli occhi e vicino alle tempie, col suo corpo magro e sicuro. Ma ormai accadeva solo al buio la sera. Intorno notte e silenzio. Eccolo il melodramma maledetto. Come spesso le accadeva, si faceva trasportare dai suoi pensieri, ci si baloccava, recitava un po'. Non era solo così Giovanni. Giovanni era anche capace di ridere e parlare e giocare. Di ballare anche, come alla festa del paese due giorni prima. No, non era que34 - Giorgio van Straten

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