raccontiitaliani teva nel soggiorno, si apriva, lui mi giungeva di fronte e mi chiedeva conto di quel che avevo fatto. Mi chiedeva se avevo qualcosa contro la sua gente, se qualcuno di loro mi avesse mai fatto del male. C'era una certa nobiltà in lui: era, a tutti gli effetti e io gliene riconoscevo l'autorità, un giudice, e io non potevo difendermi, ero costretta ad ammettere che no, nulla essi mi avevano fatto che giustificasse tanto accanimento. La mia fantasia finiva qui, perché subito mi censuravo ogni seguito. D'altra parte, essa mi visitava soltanto mentre ero sola nell'alloggio di Marchese, e in nessun altro momento della mia vita. Ecco perché quello spettacolo di ombre cinesi mi aveva lasciata senza fiato: il lavoro che faceva la donna, l'estrema lentezza di movimenti, l'uso dello spazzolone come arma, tutto corrispondeva. Un'altra strana coincidenza: le ombre che si muovevano dietro al telone erano sì scure, ma di una tonalità più grigia che non nera. Ebbene, anche se in un'ipotetica realtà il visitatore sarebbe stato nero o rossiccio, a seconda della specie di appartenenza, nella mia fantasia, pur misericordiosamente indistinto, era grigio, una grande informe massa grigia, come fosse coperto d'un velo, Sibilla uscita da antri polverosi. All'inizio del mio lavoro da Marchese non mi ero chiesta il perché di quella pretesa di impormi un orario così assurdo. Oh, certo, era motivato dal desiderio di controllarmi, in fondo non sapeva chi fossi, se ci si potesse fidare di me. Poi, scomparsa quella logica diffidenza iniziale, accampò la scusa che in tal modo poteva vedermi e dirmi se ci fosse qualcosa di particolare da fare. Non c'era mai. Ormai entravo, uscivo, mi aveva dato una copia delle chiavi, mi aveva addirittura offerto di andarci per studiare quando lui non c'era, se avessi voluto, ché lui ne sarebbe stato felice, cosa che io mi guardai bene dal fare. Era lusingato dall'avere come donna delle pulizie un'universitaria - e per di più di una facoltà piuttosto insolita - che sapeva le lingue, che viaggiava, che era una brava ragazza senza grilli per la testa, che non fumava, non si truccava, viveva con papà e mamma. Mi seguiva come un cane, parlandomi in continuazione, felice di avere qualcuno che fosse in grado di capirlo. Alcune cose che diceva erano anche interessanti, certo. I racconti dei suoi viaggi, per esempio, lunghi viaggi motivati sempre da desideri bizzarri. In India ci andava per rivedere il suo vecchio campo di concentramento inglese vicino a Bombay, a New York per sentir parlare il Papa alle Nazioni Unite (ed era un accanito mangiapreti, come molti della sua generazione e del suo ceto). Il più delle volte però era abbastanza noioso sentirlo parlare dietro la schiena, mentre ero china a lavare il water. Poco a poco mi resi conto che il mio vero lavoro, quello per cui mi pagava, non erano tanto le pulizie, nè gli assassini di scarafaggi. Il mio vero lavoro consisteva nel fargli da geisha personale e privata. Una ragazza molto giovane, istruita, gentile, beneducata, riservata, con cui parlare appena alzato, con 18 - Benedetta Arola
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