Linea d'ombra - anno I - n. 3 - ottobre 1983

raccontiitaliani no del tutto uguali a com'erano da vivi, tutti belli lustri, sodi e gonfiotti. Continuai a spruzzare il Baygon nella fessura in quantità industriali - senza per questo tralasciare il costante uso della polvere bianca, che continuava a dare i buoni risultati di sempre - differenziando così la produzione in cadaveri secchi e polverosi, e cadaveri sodi e lucenti e dei quali si sarebbe detto che sprizzavano salute da tutti i pori, se non fosse che erano morti. Poi cominciai a trovarne qualcuno che ancora muoveva una zampetta, qualcuno che faticosamente si trascinava, qualcuno che pareva morto ma al suono dei miei passi nella stanza si rianimava e faceva un ultimo disperato tentativo di fuga. Se riuscivo a superare il ridicolo, immotivato timore che mi si arrampicassero su per le gambe, cosa che nessun scarafaggio si sognerebbe di fare, li schiacciavo sotto il piede, con sgradevole crocchiare per terra, di corazza, altrimenti li colpivo col bastone per lavare per terra, lavoro meno pulito e preciso per mia incapacità professionale, perché necessitava di due o tre colpi se non di più. Pensavo ai boia dei tempi andati, la cui abilità consisteva nell'uccidere il giustiziato con un solo, preciso fendente, e mi sentivo insufficiente al mio compito. Cominciai a rendermi conto che io li non facevo la donna delle pulizie, ma la becchina e l'assassina di scarafaggi, e la cosa non mi piaceva per niente. Non avevo nulla contro di loro, l'ho già detto. Inoltre era poco piacevole doverseli ammirare ora anche in movimento in azione, oltre che nel vecchio ordinato rigor mortis. Mi sentivo infastidita. Mi si ridestava la coscienza. Tutto questo prendeva i toni del genocidio, e poiché accadeva sempre in perfetta solitudine perché Marchese verso le otto meno dieci se ne andava, mi sentivo sola, la sola responsabile di tutto ciò, come se non ci fossero stati centinaia di esseri umani in tutto il mondo, e magari anche in quel preciso istante, intenti a fare la stessa cosa. No, questo non mi interessava, non mi veniva neppure in mente, pensavo solo a me stessa e alla mia responsabilità. E così, poco a poco, iniziò quella fantasia. La porta dell'alloggio si apriva ed entrava lo spirito dello scaragaggio, una blatta alta due metri e mezzo e grossa in proporzione, che mi si parava davanti e mi chiedeva conto dello sterminio del suo popolo. Se mai dovesse capitare una cosa del genere, credo che mi si spezzerebbe il cuore per il ribrezzo e la paura appena il segnale inviato dall'occhio arrivasse al cervello. Nella mia fantasia tutto aveva invece una sua precisa durata. Lo spirito dello scarafaggio si stagliava enorme nella cornice della porta, e poi avanzava lentamente verso di me. Camminava tenendosi verticale, è ovvio. Non c'era niente di ferino, nulla di bestiale in lui, e ben gli si adattava la stazione eretta dell'essere razionale. Nella mia fantasia io ero sempre in camera da letto, girata verso la finestra, intenta ad aprirla o chiuderla - operazione che mi divenne quindi sgradevole e che svolgevo ogni volta in fretta e furia, sbatacchiando le persiane con mala grazia - quando la porta dell'alloggio, che immetBenedetta Arola - 17

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