raccontiitaliani macista di mezz'età che viveva con la madre anziana. Ancora più insopportabili dei primi due. Ero a tempo pieno, e stavo perdendo l'anno per quei lavori, e la pace in famiglia. "Fedora, non vedo la necessità" diceva mia madre, esasperata. Neanch'io vedevo la necessità, ma non potevo spiegarle che questo non era un motivo. Alla fine cedetti. Cedetti, quando mi si offrì l'occasione di accettare la proposta di Marchese, di tutte la più stravagante. Si chiamava Roberto Marchese, ed era un commercialista tra i sessanta e i settanta, un bell'uomo alto con i baffi, io propendevo per sessanta-sessantadue, mia madre diceva almeno sessantotto. Mi voleva solo due volte la settimana, per un'ora ciascuna. Fu molto insistente, mi faceva un po' pena, non trovava nessuno, il che era più che ovvio considerato l'orario proposto: dalle sette e mezza alle otto e mezza di mattino. lo abitavo dall'altra parte della città, e la scoprivo svegliarsi tutti i martedì e venerdì. Scoprivo la diversità delle albe nelle diverse stagioni, e ogni giorno aveva una sua alba, come ogni panetteria davanti a cui passavo aveva un suo odore di pane e di dolci. Nei tram semivuoti i passeggeri erano sospinti lungo orbite abitudinarie, uno ad uno, due a due, rompevano con precauzione il fragile guscio dei riti mattutini prima di uscire allo scoperto nel mondo. Conservo un buon ricordo di quelle mattine (questa faccenda andò avanti per tre anni o suppergiù). Rimasi anche perché mi affezionai all'appartamento. Marchese era gentile e corretto, mi diede sempre del lei, non lesinava il quattrino, ed aveva alcuni scaffali colmi di libri d'arte e di viaggi, dalle rilegature lussuose, che erano la mia passione. Mi spicciavo a finire i lavori, per dedicare ogni volta dieci minuti allo spoglio sistematico della sua biblioteca. L'alloggio che dovevo pulire era un mansardato del centro storico (tre stanze più bagno più una bella cucina), dove lui, che abitava fuori città in una grande villa con figli e nuore, veniva a dormire due sere la settimana, il lunedì e il giovedì, per essere già in città la mattina successiva a sbrigare i suoi affari alle Finanze. Sapevo che era padrone di negozi (per i quali compilavo i registri due volte l'anno, con paga a parte, e aggiornavo gli schedari d'archivio), sapevo anche che era mediatore di case, ma di più sui suoi affari non seppi nè mi interessava sapere. L'alloggio, con un balconcino rotondo sui tetti spioventi, era in uno stato a dir poco fatiscente. Per quanto io lo pulissi, vi si accumulava la polvere secca e invincibile delle case poco usate, imperava l'odore di muffa e di chiuso, peggiorato dal fatto che anche in piena estate lui teneva tutte le finestre chiuse, i tendoni tirati, e chiuse anche le persiane, la luce sempre accesa. La casa, un vecchio palazzo signorile di cui questa doveva essere stata l'ala della servitù o quanto meno dei parenti poveri, era in pessimo stato. Infiltrazioni di acqua dal tetto, con larghe macchie gocciolanti sul soffitto, la tappezzeria dei muri scurita ad ogni pioggia appena un po' prolungata. Un giorno addirittura arrivai e tro14 - Benedetta Arola
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