Linea d'ombra - anno I - n. 3 - ottobre 1983

raccontistranieri era nel frattempo cambiato. Si erano riconciliati col fatto della mia conversione, e mi trattavano con vero rispetto per la professione che esercitavo, un rispetto che, temo, mancava spesso dall;atteggiamento dei miei superiori e perfino dei miei alunni. I riti del matrimonio mi angosciarono. La tenda improvvisata, anche se bella, gli archi di fronde di cocco piene di frutti, l'uso di cose come le foglie di mango, l'erba e lo zafferano, il fuoco sacrificale, tutte queste cose mi riempirono di vergogna, invece che di piacere. Ma i riti non costituivano che una piccola parte dei festeggiamenti. C'era molto cibo, ottimo, strettamente vegetariano ma chissà come estremamente appetitoso; e dopo un periodo di disgusto per il cibo indiano ero tornato ad apprezzarlo. Il cibo, dicevo, era ricco. La musica e i ballerini erano eccitanti. La tenda e l'illuminazione avevano un fascino perfino maggiore di quello del salone della scuola nelle serate di concerto, anche se naturalmente la cerimonia nuziale non possedeva la grazia e la dignità di quelle celebrate, come si dovrebbe, in chiesa. · Kedar riceveva una dote favolosa, e la sposa, il cui viso avevo intravisto per un istante quando si era aperto il velo di seta, era davvero bella. Ma la bellezza di quel genere mi è sempre parsa una dote superficiale. La bellezza, in una donna, è una cosa inquietante. Al di là di essa bisogna sempre cercare in una persona la qualità più importante, quella del comportamento e dei - una cosa che dico sempre a Winston perché nessuno è troppo giovane o troppo vecchio per imparare - del comportamento e dei modi. La sposa era bella. Era triste pensarla unita a Kedar per tutta la vita, ma forse non era adatta a nient'altro. Non c'è bisogno di parlare delle sgargianti regalie di Kedar: il turbante, la corona coi tasselli e i pendenti di vetro, la giacca di seta fastosamente ricamata, e tutti gli altri ornamenti che per una notte avrebbero nascosto così bene il camionista che era in realtà. Lasciai la cerimonia nuziale profondamente rattristato. Non potevo fare a meno di riflettere sulla mia condizione, di paragonarla a quella di Hori, o perfino di Kedar. Avevo ormai quarant'anni, e il matrimonio, che normalmente si celebrava a vent'anni o giù di li, era ancora molto lontano per me. Era colpa mia. I matrimoni combinati come quello di Kedar non facevano parte della mia visione delle cose. Volevo sposare, come dice, nel Vicario di Wakefield, il vicario stesso, una persona dotata di qualità durature. Il mio campo di scelta era molto ri- .stretto. Volevo sposare un donna di religione presbiteriana, intelligente, ben educata, istruita, e che acconsentisse a sua volta a sposarmi. Quest'ultima condizione, ahimé, mi sembrava la più difficile da soddisfare. E in realtà avevo poco da offrire. Fra gli indù le cose sarebbero andate diversamente. Ci sarebbero stati uomini abbienti desiderosi di sposare le loro figlie a un insegnante, per acquistare rispettabilità e il fascino di una professione colta. Una situazione del genere ha i suoi inI IO - V.S. Naipaul

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