raccontistranieri un parente. Questa gente non ha mai imparato a bussare o a chiudersi la porta alle spalle. Devo confessare che mi sentii un po' stupido, a farmi sorprendere con quegli strumenti in mano. "Salve, Randolph," disse il ragazzo Hori, pronunciando il mio nome con accenti decisamente offensivi. "Buongiorno, Hori." Rimase impervio alla mia ironia. Questo ragazzo, Hori, era il più accanito dei miei persecutori. Era anche il più volgare, e si vastava della propria brutalità. Gli piaceva considerarsi un buon parlatore, e molte erano state le discussioni e le liti che avevamo avuto, dato che quel tanghero - metteva a dura prova la carità di chiunque, come ho già detto - insisteva che accoccolarsi per terra e mangiare dalle foglie di banano era una cosa igienica e normale, e che forchette e coltelli erano spor - chi, perché venivano ripetutamente usati da persone diverse, mentre le dita erano individuali e si potevano pulire alla perfezione, semplicemente lavandole. Le sue, di dita, però, non erano mai pulite, questo lo sapevo. "Stai mangiando, Randolph?" "Sto facendo colazione, Hori." "Manzo, Randolph. Stai facendo progressi, Randolph." "Sono contento che tu te ne sia accorto, Hori." Non riesco a capire perché questa gente debba insistere nel nutrire una grande ammirazione per la mucca, che mi è sempre sembrata un animale sporco, più sporco del maiale, che invece le stesse persone aborriscono. Eppure devo dire che mangiare carne di manzo era per me la più ardua delle prove. Se perseveravo, era solo perché traevo grande forza dalla mia fede. Ma esser sorpreso in quella contingenza - indossavo il vestito domenicale di spigato bianco, tenevo il libro delle preghiere sul tavolo, il casco coloniale bianco appeso alla parete, e stavo mangiando manzo con coltello e forchetta - esser sorpreso in quella contingenza da Hori era un tantir:io imbarazzante. Dovevo sembrare il ritratto del neoconvertito ultrazelante. Il mio istinto fu di chiedergli di andarsene. Ma mi venne in mente che sarebbe stata la cosa più facile da fare, la via d'uscita più vigliacca. Continuai quindi a maneggiare forchetta e coltello con tutta la disinvoltura di cui riuscivo a dar prova a quei tempi. Lui si sedette, non su una sedia, ma sul tavolo, proprio vicino al mio piatto, lo zoticone, e mi guardò fisso. Ignorando il suo sorriso, continuai a mangiare, come se avessi davanti del cibo sacrificale. Lui accavallò le gambe grasse, si appoggiò all'indietro, sui palmi delle mani, e mi osservò attentamente. lo feci finta di niente. Lui prese una delle forchette che erano sulla tavola e cominciò a stùzzicarsi i denti. Fui assalito da un impeto di rabbia e di disgusto. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, spinsi via il piatto, spinsi via la sedia, e gli chiesi di andarsene. La violenza della mia rea108 - V.S. Naipaul
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