raccontistranieri che in cui quella gente indulgeva in nome della religione. Il mio atteggiamento nei loro confronti era quindi un po' severo, e mi dava ben poca consolazione il fatto di sapere che, nonostante fossimo per molti versi simili, noi ci distinguevamo da loro non solo per i nostri nomi, che dopotutto non si portano appuntati all'occhiello, ma anche per i vestiti. Nelle domeniche di cui parlo, gli uomini indossavano pantaloni e giacche di spigato bianco, del tutto dissimili dal dhoti che gli altri si compiacevano ancora di portare, un indumento che, ho sempre pensato, lasciando scoperte le gambe, rende chi lo indossa ridicolo. Sfoggiavo perfino un casco coloniale bianco. Le ragazze e le donne indossavano i vestiti corti che gli altri aborrivano; portavano il cappello; sono contento di poter dire che rassomigliavano in tutto e per tutto alle loro sorelle venute dal Canada e da altri paesi a lavorare tra la nostra gente. Potrei essere accusato di dar troppa importanza a cose superficiali. Ma devo dire a mia difesa che è mia profonda convinzione che il progresso non sia una questione di forma esteriore bensì di atteggiamento mentale; ed era questo che la mia religione mi dava. Potrebbe sembrare, da quanto ho detto finora, che abbracciare la religione presbiteriana significasse ricevere solo vantaggi e piacere. Non voglio dilungarmi sulle prove che dovetti superare, sia sufficiente dire che, mentre a scuola e in certe situazioni sociali la mia fervida adesione alla nuova fede era vista con favore, in altri luoghi dovevo confrontarmi con il costante dileggio di quelli tra i miei parenti che continuavano, nonostante il mio esempio, a vivere nelle tenebre. Pronunciavano il mio nome, Randolph, con accenti del più puro scherno. Io sopportavo con fortezza. Era quello che mi ero aspettato, e la mia religione mi dava grande forz.a, come a un avaro il pensiero dell'oro. Col tempo, quando si resero conto che quel loro dileggiare il mio nome non sortiva in me il minimo effetto - al contrario, mentre prima firmavo sopprimendo il nome di battesimo dietro l'insignificante iniziale C, ora scrivevo Randolph per intero - col tempo smisero di prendermi in giro. Ma non per questo le mie tribolazioni finirono. Fino a quel momento avevo sempre mangiato con le dita, un'usanza che ora mi ripugna profondamente, così antiestetica, così antigienica che mi chiedo come abbia potuto praticarla fino all'età di diciott'anni. Eppure devo confessare che per me il cibo perse il delizioso sapore che aveva quello mangiato con le dita, e che i miei primi tentativi con coltello, forchetta e cucchiaio ebbero praticamente il carattere di esperimenti vergognosi, da portare avanti di nascosto; e perfino quando ero solo non riuscivo a liberarmi di quella sensazione di imbarazzo. Mi fu più facile abituarmi al nome Randolph che non all'uso di forchetta e coltello. Una domenica a colazione, mentre stavo mangiando, ben deciso a far uso degli strumenti suddetti, mi accorsi di aver visite. Era un uomo; non bussò, arrivò dritto nella mia stanz.a e capii subito che si trattava di V.S. Naipaul - 107
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