Linea d'ombra - anno I - n. 3 - ottobre 1983

apertura no alle sue radici psicologiche si troverebbe, credo, che la motivazione principale al "non-attaccamento" è il desiderio di fuggire dalla sofferenza di vivere, e soprattutto dall'amore, che, sessualmente o non sessualmente, costituisce un duro lavoro. Ma non è qui necessario discutere se sia "più alto" l'ideale ultraterreno o quello umanistico. Il punto è che sono incompatibili. Si deve scegliere tra Dio e l'uomo, e tutti i "radicali" e "progressisti", dal liberale più moderato all'anarchico più estremista, hanno in effetti scelto l'Uomo. Comunque, in una certa misura, il pacifismo di Gandhi può essere separato dagli altri suoi insegnamenti. La sua motivazione era religiosa, ma al riguardo egli rivendicò anche che si trattava di una tecnica definita, di un metodo, capace di produrre risultati politici desiderabili. L'atteggiamento di Gandhi non era quello degli occidentali più pacifisti. Il Satyagraha, che all'inizio era stato maturato in Sudafrica, fu una sorta di guerra non-violenta, in grado di sconfiggere il nemico senza fargli male e senza provare nè risvegliare il nemico senza fargli male e senza provare nè risvegliare odio. Esso comporta cose come disobbedienza civile, scioperi, stendersi sui binari, resistere alle cariche della polizia senza correre nè difendersi, e simili. Gandhi era contrario alla resistenza passiva intesa come una versione del Satyagraha; in Gujarati, sembra, la parola significa "fermezza nella verità". Gandhi servì come barelliere dalla parte degli inglesi nella Guerra Boera, e si preparò a fare la stessa cosa nella guerra del '14-'18. Anche dopo che abiurò completamente la violenza fu onesto abbastanza da riconoscere che di solito è necessario schierarsi. Non prese - anzi, poiché tutta la sua vita politica si è incentrata su una lotta per l'indipendenza nazionale - non poteva prendere la sterile e disonesta linea di pretendere che in ogni guerra entrambe le parti sono esattamente la stessa cosa e che fa differenza chi vince. Nè si specializzò, come molti occidentali, nell'evitare domande scomode. In relazione all'ultima guerra, una domanda cui molti pacifisti erano in obbligo di rispondere era: "E a proposito degli ebrei? Sei pronto a vederli sterminati? Se no, come ti proponi di salvarli senza ricorrere ad una guerra?" Devo dire che non ho mai sentito da nessun pacifista occidentale una risposta onesta a questa domanda, benché abbia sentito diverse risposte evasive, del tipo "è un'altra cosa". Ma è capitato che a Gandhi venne rivolta una domanda molto simile nel '38 e che la sua risposta è registrata nel "Gandhi e Stalin" di mr. Louis Fischer. D'accordo con rnr. Fischer il punto di vista di Gandhi era che gli ebrei tedeschi devono commettere un suicidio collettivo che "dovrebbe risvegliare il mondo e il popolo tedesco contro la violenza di Hitler". Dopo la guerra si giustificò così: "Gli ebrei sono comunque stati uccisi e hanno anche potuto morire in modo significativo''. Si ha l'impressione che un atteggiamento simile sconcertò perfino un ammiratore così appassionato come mr. Fischer, ma Gandhi semplicemente fu sincero. Se non ti senti pronto a togliere tu la vita, devi essere pronto a che essa 1O - GeorgeOrwe/1

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