Linea d'ombra - anno I - n. 2 - estate 1983

discussione appunto soltanto noi. Ma perché prendersela, anche per un momento o per una pagina, o per l'effimera durata di una boutade, con tutti quei "poveri di spirito" che abiterebbero il Terzo Mondo, con la loro smania un po' tonta e un po' ridicola di imitarci? Se oggi ci deludono e ci fanno cascare le braccia la colpa non è loro. E in fondo, pretendere da loro una fiera e attiva resistenza alle nostre merci e alle nostre idee non significa già delegare a qualcun' altro dei compiti o dei doveri che vorremmo assegnare a noi stessi? Appare davvero un po' ingenuo stupirsi o scandalizzarsi del fatto che certi paesi poveri tropicali abbiano rifiutato una vettura studiata appositamente per loro da ingegneri europei, richiedendo invece "irragionevolmente" automobili meno economiche e meno adatte ma uguali a quelle usate in Europa. Prima ''inviamo armi e veleni, tecniche di dominio e di propaganda", come si legge nello stesso saggio, prima cioè abbiamo compiuto una massiccia e capillare opera di sradicamento culturale e poi esigiamo che i paesi poveri abbiano una maggiore dignità e coscienza di sè. Ma queste cose Enzensberger le sa benissimo. Eppure anche qui si mostra più infastidito che angosciato, più disturbato o esasperato che turbato. E così il suo atteggiamento, il tono che ostenta, di indubbia efficacia r.etorica (adeguati cioè all'attenzione distratta del lettore di rotocalchi, che si vede confermato nel suo eurocentrismo perlopiù privo di dubbi) gettano un'ombra sinistra sulle verità che l'articolo pure contiene. È vero, e ce l'hanno ormai ripetuto fino alla nausea, la forza vitale dell'Occidente è data '' dalla sua eterna insoddisfazione, dalla sua ingorda inquietudine", dal dubbio, dall'autocritica, perfino dalla "confusione" e dall"'odio verso se stessi". Ma questi non sono esattamente quei caratteri che nell'altro saggio, cui prima ho fatto riferimento, vengono attribuiti alla piccola borghesia? Pur condivi94 - Filippo La Porta dendo lo stupore preoccupato di Enzensberger sulla capacità di penetrazione di questa famelica classe sociale, mi sembra davvero eccessivo ·farla coincidere con l'intero "pensiero occidentale". E poi questo inaspettato happy end da parte del disilluso e disincantato Enzensberger lascia un po' perplessi. Che senso hanno oggi questi elogi del dubbio e dell'irrequietezza, nel momento in cui ciò che sembra prevalere, ciò che viene continuamente esibito dagli "uomini d'avanguardia" (come vengono definiti dallo scrittore tedesco) è un'insoddisfazione soddisfatta di sè, un'inquietudine pacificata. L'inquieto scetticismo dell'autore si quieta ad un certo punto nella perentoria affermazione: il radicalmente altro non esiste! I nostri desideri di mutamento radicale, le nostre speranze, la nostra fiducia in possibili alternative, tutto questo viene virilmente liquidato come ingenue proiezioni, autoillusioni, pura fantasia. Insomma: sveglia! prendete congedo dai sogni e dalle utopie regressive! non esistono popoli puri e incorruttibili! Eppure, se davvero, come osserva lo stesso Enzensberger, tutti gli uomini senza distinzioni vogliono potersi muovere liberamente, amare, pensare e decidere per conto proprio, ecc., queste cose, negate in maggiore o minore misura in ciascuno dei 161stati sovrani della terra (con differenze che certo non vanno sottovalutate) come le hanno maturate gli uomini se ogni sfera di cristallo dell'utopia è solo uno specchio che ci restituisce i nostri fantasmi? Ora, a parte il fatto che nel saggio di Enzensberger viene del tutto ignorato il nesso profondo, il rapporto di complementarietà che tende a stabilirsi tra eurocentrismo e utopismo terzomondista, tra progressismo e idealizzazione di certe realtà popolari, come ha ben osservato Edoarda Masi (8), ho l'impressione che quello che può unirci ai paesi del Terzo Mondo sia proprio il "minimo utopico" cm l'autore accenna. Se cioè è davvero

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