Linea d'ombra - anno I - n. 2 - estate 1983

La mobilità intellettuale e la luminosa flessibilità che ci vengono qui proposte come il più grande dei piaceri, sembrano avere chissà perché meno luce della spinta. a donarsi disinteressatamente a qualcosa o a qualcuno. Una spinta presente, tra l'altro, nel solitario e sfortunato attentatore di Hitler citato da Enzensberger, ma che in verità sembra avere ben poco a che fare con la volubilità e l'opportunismo. Nel treno che lo riporta dalla Cina Popolare ad Hong Kong Enzensberger ha conosciuto un suo connazionale, Wolfgang B., di Nordlingen, eccellente modellista, invitato in quel paese per realizzare uno stabilimento industriale in scala. Le sue particolari reazioni vengono assunte nel saggio intitolato Eurocentrismocontrovoglia, ad esemplificazione di un discorso più generale fortemente polemico verso le mitologie terzomondiste di buona parte della sinistra. Questo Wolfgang B., "uomo senza pregiudizi", come ci viene assicurato, ritornando nella corrotta e sfavillante Hong Kong dalla Cina Popolare, dove ha portato a termine il suo lavoro, si stupisce. Di che cosa? ''Di essere contento di tornare ad Hong Kong, di non vedere l'ora di scendere dal treno". Ma perché Wolfgang B., "uomo senza pregiudizi", come ci viene assicurato, ritornando nella corrotta e sfavillante Hong Kong, dalla Cina Popolare, dove ha portato a termine il suo lavoro, si stupisce. Di che cosa?" di essere contento di tornare ad Hong Kong, di non vedere l'ora di scendere dal treno". Ma perché Wolfgang B. si stupisce, se è davvero "un uomo senza pregiudizi"? Mi sembra del tutto plausibile e normale che uno "svevo" si trovi come a casa sua in una città fatta ad immagine e somiglianza proprio di casa sua. Si vede che in realtà con qualche pregiudizio ci è andato in Cina, insieme ad una sincera curiosità. Ad esempio il pregiudizio ideologico che uno "svevo" come lui si dovesse trovare meravigliosamente bene in quel paese. Indiscussione somma il suo vero 'peccato', se così vogliamo esprimerci, sembra essere stato più di inconsapevole terzomondismo a priori, che di inaspettato eurocentrismo a postenon. Enzensberger ci avverte che si guarda bene dall'irridere i tentativi di modernizzazione dei paesi sottosviluppati. Soltanto, quello che gli fa cadere le braccia è il loro "sfrenato istinto di imitazione", la "via dell'imitazione forzata", per cui sembra che quegli sciagurati paesi debbano "ripetere ogni errore, stravaganza e follia dell'Occidente". Non vi si troverebbe infatti una sola lampada o sedia o automobile che non siano la pedissequa imitazione dei nostri modelli "come se fosse impensabile inventare qualcosa di autonomo". Più in là l'autore si premura di dirci che tutto questo dipende ovviamente dalla particolare situazione di quei paesi e non da una loro congenita inferiorità. Bene, ma allora perché mai ci dovrebbero cascare le braccia di fronte a questa inarrestabile volontà di imitazione? Cos'è che ci dà fastidio? Cosa le rimproveriamo? Carenza di immaginazione e di inventiva? Imperdonabile assenza di gusto, volgarità? Ottusità, subalternità culturale? Piattezza desolante e irrimediabile? Fatto sta che "non vediamo di buon occhio l'eurocentrismo dei sottosviluppati", ci delude e ci angoscia. Enzensberger indica nel saggio alcune cause di questa nostra angoscia: il presentimento di catastrofi e guerre inevitabili (dato che appare impossibile, a causa dell'insufficienza di risorse, che i paesi poveri raggiungano gli standards di vita occidentali cui aspirano) e il definitivo venir meno di qualsiasi civiltà e forma di vita diverse dalla nostra, dunque di qualsiasi mondo utopico o alternativa esotica in cui potersi rifugiare. Ora, sull'esigenza di non delegare agli altri la nostra liberazione, o la formulazione di un pensiero capace di salvarci, non si può non essere d'accordo. Se in un passato anche recente le cose sono andate diversamente, questo, si ammetterà, riguarda Filippo La Porta - 93

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