discussione parteneva ad alcun partito, ma che progettò e organizzò interamente da solo un attentato al Ftihrer, fallendo di poco il suo obiettivo. Mentre la coerenza, osserva Enzensberger, è solitamente legata all'ideologia, a principi immobili e immutabili, e necessita continuamente di giustificazioni, l'ostinazione nasce invece da un sentimento individuale profondo, è un fatto più di comportamento, di "carattere" che di teoria, e soprattutto permette alla vita delle idee di dispiegarsi liberamente nella sua mobilità. Qui è opportuno fare una breve digressione sulla irriducibile diversità tra il contesto storico-culturale da cui riceve motivazione e forza persuasiva la presa di posizione di Enzensberger e il nostro. E non tanto perché questa gioiosa e convinta apologia dell'incoerenza ha in Italia un involontario effetto umoristico. Ma per altre ragioni. Abbiamo spesso guardato con un misto di ammirazione e di invidia alla virtù o attitudine tipicamente nordicoprotestante della coerenza, imitandone qualche volta i sottoprodotti e le versioni più caricaturali. Fa riflettere che proprio dalla Germania ci pervengano dei segnali di ripensamento autocritico sul alcune implicazioni e conseguenze della coerenza. Inoltre, credo che i lettori italiani di Enzensberger sbaglierebbero a sentirsi beatamente confortati e assolti da questo saggio. Essere incoerenti infatti non significa automaticamente essere "ostinati", mentre lo scrittore tedesco difende l'ostinazione non contro la coerenza, ma nella coerenza, per poterne salvare la verità positiva. Segnalati i pericoli di un 'interpretazione fuorviante di queste pagine, ho però l'impressione che il concetto di ostinazione, sia pure suggestivo ed esemplificato attraverso due paginette in cui lo scrittore ritrova la sua migliore vena, rimane troppo al di qua di "ciò di cui si dovrebbe parlare" oggi. È vero che una pretesa di coerenza assoluta porta infine all'omicidio o al suici92 - Filippo La Porta dio, alla barbarie o alla automutilazione. Ma contro questi rischi, sempre presenti, sono ancora convipto che possa proteggersi meglio di un'appello ad un'ostinazione priva di direzione, proprio il richiamo alla coerenza con alcuni principi fondamentali: ''la libertà estrema, quella di uccidere, non è compatibile con le ragioni della rivolta( ... ) l'uomo vuole si riconosca che la libertà ha i suoi limiti ovunque si trovi un essere umano" (Camus) (8). Il feroce Pol Pot patito della coerenza? Oppure incoerente allievo di Samir Amin? Credo si possano agevolmente dimostrare sia l'una che l'altra cosa. Mi sembra poi che Enzensberger sia un cattivo propagandista delle sue tesi. Impiega infatti molte pagine per esortare i suoi pigri connazionali: venite anche voi dove mi trovo io, nel dolce paese dell'incoerenza, della fantasia incoercibile, della volubilità, staccatevi senza timore dalle vostre sterili certezze e della vostra bigotteria politica, liberate i vostri pensieri proibiti! Assaporerete piaceri inimmaginabili, proverete gioie inaudite! Però, scorrendo queste stesse pagine si ha l'impressione che chi rivolge con enfasi un invito così generoso, sia in realtà forzatamente allegro, molto sorvegliato nelle sue reazioni emotive, attento a non esporsi, troppo preoccupato di avere paura della paura. Parla ogni tanto di "solidarietà", di "repressione", di "desiderio mai soddisfatto di uguaglianza e giustizia", ma non se la · prende mai troppo. Dalla sua penna lucente non escono mai aggettivi come "inaccettabile", "brutale", "intollerabile", "empio", "disumano", etc. Sarà senz'altro un programma allettante il nomadismo intellettuale, la libertà di cambiare sentiero e direzione quando si voglia, ma qualche volta sembra proprie che la gente non voglia abbandonare un sentiero soltanto perché quel sentiero non ha vinto, non ha potuto affermarsi. Volendo emancipare a tutti i costi l'umanc da certezze e ideologie Enzensberger ha fi. nito con il semplificarlo indebitamente.
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