no più bravo di te" che da almeno diciotto secoli affliggerebbe, secondo lo scrittore (3), 1 categoria sociale degli intellettuali. Ind~apiiente Enzensberger sembra proprio divertirsi a questo gioco, e qualcosa del suo sincero divertimento lo trasmette anche al lettore più accigliato. Fatto questo senz'altro apprezzabile tra tanti fasulli e plumbei "piaceri del testo", più teorizzati che praticati. Possiamo anche pensare che Enzensberger diffidi legittimamente di quel fanatismo e di quel pathos, spesso autodistruttivo, che hanno insidiato, com'è noto, la cultura più alta e la vita politica del suo paese. Nè ci sentiamo di rimproverare a tanto innocente edonismo la mancanza di quella partecipazione sofferta, ''eccessiva", che premeva dietro agli "scritti corsari" di Pasolini. Non è obbligatorio essere turbati e lacerati. E poi questi saggi sono dichiaratamente "capricci", ovvero effimeri divertissements intellettuali, liberi sfizi e divagazioni dello spirito, e non veementi denunce o dolenti meditazioni. Tutto questo può spiegare la scelta stilistica, in parte nuova e imprevista, cui si è accennato, fondata sull'understatement, su una sorta di / air play culturale, su un tono quasi sempre vispo e accattivante. Però tra una battuta ben piazzata e un giochino di società si insinuano qui e là delle realtà un po' sgradevoli, come quei cadaveri di annegati galleggianti su un fiume cinese che ci fanno gelare il sorriso sulle labbra (4). Viene allora il sospetto che tanto innocente edonismo non sia del tutto innocente, che dissimuli altre finalità. In queste pagine si osserva che il piccolo borghese, per la totale disistima che ha di sè stesso, vuole sempre essere qualcun altro, aspira a diventare invisibile (5). Ho l'impressione che anche l'autore, al pari di un qualunque membro del ceto che descrive, cerchi di indossare un mantello magico che lo rende invisibile, non identificabile, impercettibile. E non certo per odio verso sè stesso ma per paura. Paura del moderno Leviatano, paura di essere classificato, discussione etichettato, incasellato nella banca dati dell'ideologia, e così neutralizzato e liquidato. Una accorta strategia di autooccultamento che gli permetterebbe di sottrarsi alle logiche e ai ricatti del mondo giornalistico-culturale. Insomma, comunque vadano le cose nessuno potrà giudicarlo illuso o ridicolo o piagnone o fazioso o coglione. Si ignora infatti come (e dove) stia chi emette il messaggio. Da una parte ironizza sull'aggressività dinamica della piccola borghesia e dall'altra ci dà un brillante esempio di prosa vivace e spesso sarcastica. Si dichiara con voluta provocazione "eurocentrico", in qualche modo orgoglioso di non dover più nascondere questo 'peccato', però subito aggiunge "controvoglia" (6). Detesta i saccenti e i presuntuosi, ma appare convinto di essere uno dei pochi che dice quello che pensa e che pensa con la propria testa. Si schiera intrepidamente dalla parte dei "sogni collettivi di paura e di desiderio", della "forza di immaginazione", contro i tristi "custodi di sinistra" (7), contro le analisi, le critiche dell'ideologia, ma il suo stile comunica ad ogni riga il gusto volterriano dell'uso più spregiudicato e impietoso contro tutti i miti e i sogni collettivi. Il più bello dei saggi compresi nella raccolta, Conseguenze della coerenza, sembra rappresentare una pronta ed efficace replica a queste osservazioni. Vi si fa infatti l'elogio, in modi assai convincenti, dell'incoerenza, della volubilità, dell'indecisione, del compromesso. Bersaglio polemico è una coerenza rigida e ottusa, una fedeltà assoluta ai princìpi, la pretesa di voler mettere in pratica le proprie idee a tutti i costi, pretesa che sfocerebbe nel fanatismo, nell'intolleranza, nella durezza autoritaria. Alla coerenza viene contrapposta l'ostinazione, felicemente esemplificata attraverso il breve e denso ritratto dell'oscuro attentatore di Hitler, un certo Georg Elser, artigiano, che non leggeva i giornali, non credeva alla politica, non apFilippo La Porta - 91
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